LA DIETA CHETOGENICA

Il regime chetogenico è un protocollo alimentare basato su un basso apporto di carboidrati che possono venire sostituiti da un aumento delle proteine. Si parla di dieta iperproteica nel caso l’apporto di carboidrati non superi i 20-50 gr. al giorno e in compenso si aumentino le proteine; oppure di dieta iperlipidica se aumenta l’apporto di grassi. Una drastica riduzione dei glucidi induce la chetosi, ossia quella condizione in cui l’organismo viene forzato a usare i grassi (convertiti dal fegato in corpi chetonici) a scopo energetico. La chetosi è, infatti, un meccanismo fisiologico che ha permesso la sopravvivenza della specie, sin dai tempi dei nostri antenati, anche in condizioni di digiuno e/o in carenza di glucosio.

 

 

 

 

Come ben sappiamo, infatti, il glucosio, come i grassi, è uno dei carburanti principali delle nostre cellule ma a differenza di questi ultimi è in grado di passare la barriera ematoencefalica (la barriera che isola il nostro cervello dal resto del corpo); per questa ragione è la “benzina” del nostro encefalo.

 

Alla base del fenomeno vi è la biochimica del protocollo chetogenico: quando infatti gli zuccheri e i carboidrati vengono a mancare e le nostre riserve si esauriscono, il fegato inizia a convertire i grassi in corpi chetonici che, come il glucosio, riescono ad attraversare la barriera ematoencefalica diventando la benzina alternativa al glucosio, non solo per l’encefalo ma per tutto l’organismo.

 

Proprio dall’utilizzo dei nostri grassi di riserva (convertiti in corpi chetonici) come fonte energetica, nasce l’efficacia della dieta chetogenica come protocollo dimagrante. Questo perché quando l’organismo si trova in questo stato metabolico, perde l’appetito (il goal di tutte le diete) e cala di peso più velocemente in quanto non riesce a trattenere i corpi chetonici prodotti e non consumati.

 

Per capirci: provate a pensare all’acetone dei bambini. L’acetone è uno dei corpi chetonici prodotti dal fegato (insieme all’acido acetico e al beta-idrossi-butirrato) che l’organismo non riesce a trattenere e viene quindi eliminato con l’alito; in pratica “espiriamo calorie”.Dopo il periodo chetogenico, altrettanto importante è la fase di reintroduzione dei carboidrati, il fatidico “mantenimento”, nel quale lentamente va riabituato l’organismo (nello specifico il pancreas) a produrre gli enzimi digestivi specifici per questi macronutrienti.

 

Se da un lato il protocollo chetogenico ha i vantaggi di cui sopra, ha purtroppo anche qualche svantaggio quale ad esempio la compliance (l’adesione del paziente, ndr) visto che questo regime non prevede “sgarri”: bastano pochi grammi di carboidrati, o peggio di zuccheri semplici, per uscire dallo stato di chetosi, vanificando ogni sacrificio. Inoltre, nel caso si optasse per un protocollo iperproteico occorre tener presente un super lavoro per i reni. La durata del protocollo può variare da poche settimane a qualche mese, anche se può essere mantenuto a vita, come nel caso dei soggetti epilettici (protocollo iperlipidico). In ogni caso è necessario affidarsi a un professionista ed evitare il fai da te.

 

Come appena anticipato, il protocollo chetogenico sempre più spesso viene utilizzato anche per fini clinici in diverse patologie sia di tipo neurologico quali l’epilessia farmaco resistente o l’emicrania, in patologie a carico dei trasportatori celebrali (immunodeficienza da GluT1) o anche nella terapia anticancro. A tal proposito occorre ricordare che, come l’encefalo, anche le cellule tumorali utilizzano come “benzina” esclusivamente il glucosio ma di questo e di altro parleremo nell’approfondimento tecnico del prossimo articolo.

 

Andrea Fossati

fossatiandrea@centroemmea.it

www.centroemmea.it

 

 

 

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