ROBERTA BARI

Una ragazza versatile alla scoperta della Cina e di se stessa. Roberta, pugliese, è andata in Cina per la prima volta nel 2007. Aveva iniziato a studiare cinese all’Università degli Studi di Milano: l’iter prevedeva un corso di un mese e mezzo in Cina al secondo anno della laurea biennale e poi un semestre al primo anno di quella specialistica. Arrivata a quel punto, ha deciso di partire, sia per perfezionare la lingua sia per cercare lavoro.

 

 

 

 

Una decisione impegnativa. Come è stato il primo impatto?

 

Ero un po’ disorientata, perché ho dovuto fare il salto dal cinese accademico al cinese quotidiano. In full immersion, dato che ho deciso di vivere con un’amica cinese, ascoltare radio cinese, vedere TV cinese, mangiare cinese… E ho incominciato a cercare lavoro. Ho insegnato italiano per pochi mesi; poi mi ha offerto un contratto l’Agenzia nazionale italiana del turismo di Pechino.

 

 

Quando si è avvicinata al mondo del Food and Beverage?

 

Quando, poco dopo, ho trovato lavoro presso una piccola azienda italo-cinese che importava nostri prodotti alimentari. Vedendo la mia passione per il settore, il titolare mi ha proposto di aprire una scuola di cucina. Mi sono occupata del marketing, dell’organizzazione, del reclutamento degli studenti, fino a quando non sono stata io stessa a tenere i corsi.

 

A quel punto mi hanno chiamata a fare lezioni in vari contesti per raccontare un po’ dell’Italia e delle sue tradizioni, e alcune reti televisive hanno realizzato dei video per mostrare la preparazione di piatti della tradizione italiana per un pubblico cinese.

 

Poi sono andata a lavorare a Radio Cina Internazionale e, contemporaneamente, continuavo a fare lezioni di cucina nel tempo libero. Finché ho chiesto a un ristorante stellato di Pechino se potevo fare uno stage. Ho retto per qualche mese, poi non ce l’ho fatta più: dormivo 3 ore a notte. Però è stato molto bello, ho imparato tanto.

 

 

I passi successivi?

 

Mi hanno proposto di diventare chef della Scuola Italiana Paritaria d’Ambasciata di Pechino (scuola dell’infanzia e primaria per bambini figli d’italiani e del personale diplomatico straniero, ndr). Era il 2016. Una bella esperienza, con un pubblico internazionale. Dovevo alternare le lingue, un po’ italiano, un po’ inglese, un po’ cinese.

 

Molto spesso i bambini italiani più piccini che crescono con la tata cinese (la Ayi) hanno come prima lingua il cinese. Non dimenticherò mai le giornate d’esordio: io volevo fare la cucina salutista, tutte verdure… Dopo due settimane, i bambini mi dicevano: sei cattiva. Ho allora deciso di arrivare a dei compromessi. Quindi, ogni volta proponevo delle attività che li stupissero, li divertissero.

 

 

 

 

Ha capito che cosa le piacerebbe fare nel futuro?

 

So che stare in cucina è la mia strada. Tante volte se non riesco a esprimere qualcosa con le parole magari ci arrivo con il cibo. Adesso sono in Italia ma devo tornare in Cina perché ho lì un cane e una casa. Però, dopo nove anni d’assenza, non mi dispiacerebbe riavvicinarmi alla famiglia. Ho voglia di crescere e d’imparare cose nuove. Mi attrae l’idea di farlo in Italia. La Cina mi ha dato tanto, mi ha permesso di costruire dal niente una mia figura professionale. Ora ho un bagaglio di competenze, di conoscenze… Non dubito di poter trovare un angolino nel mio Paese. Devo capire come.

 

 

Quali sono le differenze tra il modo di alimentarsi dei cinesi e quello degli italiani?

 

La cucina italiana prevede 3 piatti in successione: antipasto, primo, secondo. Normalmente si parte dal salato e poi si va al dolce. In Cina non ci sono le varie portate, è tutto a tavola; capita che piatti più dolci di altri vengano serviti all’inizio del pasto. Al contrario, riso, ravioli, spaghetti spesso sono alla fine; quindi, si mangiano prima la carne e le verdure.

 

Poi è diverso l’utilizzo delle spezie: nella nostra cucina mediterranea si utilizzano erbe aromatiche e condimenti vari, ma si lasciano in genere i sapori al naturale. In Cina – 52 etnie diverse, ognuna con le sue tradizioni – la cucina è complessa e diversificata. Ci sono zone che mangiano molto piccante (e il loro piccante è notevolmente più intenso di quello calabro); zone che consumano molto dolce, con l’aggiunta di varie spezie.

 

 

E l’amaro?

 

Per la cucina cinese, i sapori principali sono 4, incluso l’amaro, e possiamo distribuirli in base alle zone: a nord salato, a sud-ovest piccante, a sud-est dolce. Ci sono effettivamente verdure molto amare, che per loro sono sinonimo di salutare, di curativo; servono a spegnere l’infiammazione. Il piccante è apprezzato nel Sichuan, zona sud-occidentale molto umida.

 

 

Quando vengono in Italia, apprezzano il cibo o sono un po’ sconcertati dalle nostre ricette?

 

Sono come noi: entrambi i popoli hanno una tradizione culinaria radicata, elaborata e raffinata; e ne sono molto orgogliosi. Amiche che hanno accompagnato gruppi di turisti cinesi in Italia mi hanno raccontato, per esempio, che a Venezia, al momento del pranzo, molti hanno estratto dalla borsa delle lingue di anatra per arricchire la pizza. Così come ci sono italiani che vanno in Cina e cercano dove poter mangiare la pasta con il pomodoro.

 

Paola Chessa Pietroboni

direzione@cibiexpo.it

 

 

 

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