Diceva un pesco altero all’uva:
“Oh, sciagurata,
tu finirai calcata!”
Gli fu risposto: “È vero;
ma, all’uom che mi calpesta,
fo’ poi girar la testa”
Lo scriveva Luigi Carrer nei primi decenni dell’800 per celebrare la magia di un frutto capace di regalare freschezza e soddisfazione al palato quando lo gustiamo fresco, ma impagabile nell’inebriare la mente e rendere la vita più leggera se ne beviamo il succo. Naturalmente ben fermentato…
E forse è anche perché ci dà il vino che l’uva non ha rivali quanto a popolarità. Mele, fichi, castagne, fragole, ciliegie… nessun frutto riesce a insidiarne il primato. Una prova: basta digitare su Google “festa dell’uva” per vedersi presentare in 50 centesimi di secondo la bellezza di quasi 500 mila risultati. Un’enormità rispetto alle “sole” 52.000 citazioni di “feste della mela” e alla sparuta minoranza (poco più di 6.000) di citazioni dedicate alla pera. Se poi alterniamo alla parola “festa” i termini “sagra” e “fiera”, il divario si fa ancora più impressionante.
Ma non basta il fatto che dall’uva si ottenga il vino a spiegare il consenso unanime che le si riserva: il rito della vendemmia ha in sé un qualcosa di gioioso che non si ritrova nella raccolta di altri frutti. Gli acini come perle colorate, il profumo inebriante quanto quello di uno Chanel N°5… l’uva è un regalo prezioso della natura all’umanità e non è un caso che, di ritorno, l’uomo la celebri anche nelle arti più di ogni altro frutto.
“Pittori d’uva” erano definiti i maestri del ‘600 che, alla scuola di Gilardo da Lodi, dedicavano la loro arte a rendere sulla tela l’infinita magia di colori dei grappoli, ed è fin troppo facile citare in letteratura Esopo, che celebrava l’uva come irraggiungibile oggetto del desiderio per la pur scaltrissima volpe. Favola che riprese in tempi più recenti Carmen Consoli, regina della parola musicata, che nel suo brano “Uva acerba” usava il frutto a simbolo di quel precario equilibrio tra promessa e delusione, tra piacere e sofferenza che è l’essenza dell’amore e della nostra stessa vita.
C’è qualcosa di più intrigante e traditrice dell’uva acerba? Forse solo i cachi, quando sono anch’essi acerbi, riescono a infliggere tanta pena al palato di chi li addenta, ma… è facile riconoscerli. L’uva no: può essere verde sia quella acerba immangiabile sia la più dolce e aromatica delle uve regine. Solo il coraggio di provarla svelerà la sua natura acida o zuccherina…
Giorgio Donegani