CARNE O NON CARNE, QUESTO È IL DILEMMA!

In base a quanto emerge dagli studi scientifici, facciamo il punto sul tema della carne a base vegetale oppure su quella coltivata, valutandone pro e contro.

Sconfiggere la fame nel mondo è il secondo dei 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni unite (il primo è sradicare la povertà). Da realizzare con urgenza, visto che la  denutrizione è in crescita e la FAO stima che nel 2030 ne patirà l’8% della popolazione mondiale. Ne consegue che bisogna produrre più cibo. Ma l’effetto sull’ambiente di quanto e di cosa mangiamo non è irrilevante. I prodotti di origine animale, in particolare le carni rosse, hanno un forte impatto sull’ecosistema. Adottando uno stile alimentare sano, cioè con un’importante presenza di prodotti vegetali (almeno 5 porzioni al giorno tra frutta e verdura), carboidrati integrali (pane, pasta, riso, cereali), legumi e poca carne, apportiamo benefici sia alla nostra salute sia a quella del pianeta.

 

 

 

Ma oggi c’è un’alternativa: i sostituti della carne cosiddetti plant-based. Con questa definizione si intendono molti prodotti, più o meno innovativi, che si propongono come alternativa proteica a base vegetale ai prodotti di origine animale come carne, latte e latticini, pesce e uova: hamburger vegetali, polpette senza carne, latti vegetali, yogurt senza latte, simil-salumi, formaggi vegetali, tofu, seitan, tempeh. Oggi i plant-based sono entrati nella grande distribuzione. Il target di riferimento sono i flexitariani, che seguono diete non esclusivamente a base vegetale, e i climatariani, che prestano una particolare attenzione all’impatto ambientale. È un mercato in crescita che attrae gli investitori. C’è un “però”: nella maggior parte dei casi, questi nuovi prodotti, spesso attraenti e gustosi, sono ultra-processati. Con questo termine si indicano gli alimenti che hanno subito numerose fasi di trasformazione nel corso del processo produttivo. Hanno una lunga lista di ingredienti, almeno 5 tra additivi come coloranti, conservanti, emulsionanti, addizionati per rendere l’alimento più appetibile… Sono frequentemente ricchi di zuccheri, di grassi e di sale e hanno spesso quindi profili nutrizionali non ottimali.

Un altro aspetto da non sottovalutare è l’imballaggio: stiamo parlando di piatti pronti, che necessitano del packaging per questioni di sicurezza. Il loro contributo totale alle emissioni di gas serra è ridotto (circa il 5%), ma il tipo di involucro è importante. Per esempio, va evitato l’uso eccessivo della plastica.

Un’altra alternativa è la carne coltivata (chiamata anche sintetica, artificiale o di laboratorio) ottenuta partendo da cellule staminali ancora indifferenziate prelevate dalla spalla di un bovino da allevamento, opportunamente concentrate. Per rendere gradevole il prodotto, si lavora molto sull’aspetto della consistenza. La frollatura della carne, le trasformazioni biochimiche post-mortem sono passaggi essenziali. Ottenere un valore nutrizionale e caratteristiche sensoriali comparabili con la carne “vera” è una delle maggiori sfide tecnologiche da affrontare.

Il primo hamburger di questo tipo è stato presentato a Londra nel 2013. Il costo era esorbitante perché teneva conto del sottostante lavoro di ricerca: 250mila euro per 150 grammi di carne.

Singapore invece è stato il primo Paese al mondo, nel dicembre 2020, a permettere il commercio di crocchette di pollo realizzate con cellule animali.

La carne coltivata però non è al momento autorizzata in nessun Paese europeo. In Italia, anzi, è stato annunciato un disegno di legge per vietarne la produzione, sull’onda di un atteggiamento preventivamente ostile verso la “carne di Frankenstein”, come l’ha definita Coldiretti.

A oggi, le informazioni disponibili sui protocolli produttivi sono molto limitate (anche per una questione legata ai brevetti) e questo non ne consente una valutazione approfondita.
Intanto si può dire che i bovini emettono enormi quantità di metano e che la produzione dei mangimi necessari alla loro crescita consuma suolo e acqua, inquina con i pesticidi e distrugge la biodiversità. Tutti questi aspetti sarebbero risolti con la carne coltivata in laboratorio. Ma dobbiamo considerare, e sono pochissimi per ora i dati attendibili, l’impatto della sua produzione su larga scala. In particolare, per quanto riguarda il consumo energetico.

Altra questione: la carne coltivata è sicura? Approvata nel 2020 dall’Agenzia di sicurezza alimentare di Singapore, ha avuto recentemente il via libera anche dall’americana FDA (Food and Drug Administration). Il 6 aprile 2023 è stato pubblicato un nuovo report FAO e OMS. Si è concluso che i rischi per la salute umana connessi al consumo di questi nuovi prodotti sono in sostanza simili a quelli del cibo tradizionale.

Concludendo, l’Italia è importatrice di materie prime, incluse quelle alimentari. Per le carni bovine siamo a oltre il 50% del nostro fabbisogno interno. L’eventuale produzione di carne coltivata limiterebbe le importazioni o la produzione tradizionale?

Paola Chessa Pietroboni

direzione@cibiexpo.it

 

 

 

Aziende all’avanguardia

Dopo il via libera dell’FDA di alcuni mesi fa, per la startup specializzata in carne coltivata Upside Foods è arrivato anche il green light da parte dell’USDA (Dipartimento Usa per l’agricoltura), appena qualche giorno dopo quello dato all’altra azienda pioniera GOOD Meat. Entrambe le società dovranno ora sottoporsi a un’ispezione dei propri impianti da parte dall’USDA, ultimo tassello prima di poter vendere legalmente i loro prodotti negli Stati Uniti.

 

Dalla Terra allo spazio

Nel settembre 2019, nella Stazione Spaziale Internazionale è stata prodotta per la prima volta della carne bovina con una stampante 3D per la produzione di tessuto biologico a partire da cellule messe in coltura sulla Terra.

 

 

 

 

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