A PRANZO CON NAPOLEONE

Viaggi nel tempo: immaginiamo di ricevere un invito da Napoleone Bonaparte, che nel 1804 si era autoincoronato imperatore dei Francesi, titolo perso definitivamente nel 1815.

 

 

“Proprio da lui dovevamo andare?”

“Zio, a te non piace solo perché ha conquistato Venezia”.

“Conquistato è una parola grossa… E comunque mi sembra un ottimo motivo! Mai nessuno in tredici secoli…”

“Sì, sì ok, ma perché sono vestito così?”

“I ragazzini in questo secolo li vestivano così. Ah, oggi ti chiami Francois”.

“Fran-ché?!”

La porta davanti a loro si schiuse appena. Un domestico sgusciò tra l’anta e lo stipite, richiudendo la porta subito dopo.

“Buongiorno signori, l’imperatore è pronto a ricevervi…”

“Mi risulta non sia più ‘imperatore’…”, ghignò lo zio.

Il domestico strinse le palpebre.

“Fate attenzione quando entrate; ha il terrore delle porte aperte. Quindi, non apritela più di quanto non serva per passare e richiudetela subito dopo”.

Nella sala, Napoleone era seduto a capotavola, mano nel panciotto, intento a consultare la mappa che aveva di fronte. Non prestò attenzione agli ospiti. Lo zio si schiarì la voce, e l’imperatore, senza muovere la testa, gettò lo sguardo oltre gli occhiali da lettura che tolse un istante dopo.

“Jacques! Mon ami!”

“Come no!”, bofonchiò lo zio.

“Imperatore! Come prosegue il tuo soggiorno a Sant’Elena?”

“Qui a Longwood House…?”

Napoleone estrasse dalla camicia il proprio pendente, facendo oscillare come un campanello la scatolina contenente il veleno.

“Sono sempre più tentato di usarlo…”

“Questa volta però farai bene a servirtene prima che perda il suo effetto”.

L’imperatore arricciò appena le labbra.

“Ho sentito che non vai molto d’accordo col governatore dell’isola, quel Lowe…”

“Continua a rivolgersi a me come ‘generale Bonaparte’, rifiuta di chiamarmi ‘imperatore’… E il giovanotto qui chi è?”

“Mio nipote, Francois”.

“Molto bene. Sedetevi!”

Lo disse con un tono da comandante d’artiglieria, più che da ospite, prima che il nipote potesse aprire bocca. ‘Francois’ non si spiegava come facesse suo zio a essere così in confidenza con tutti quei personaggi storici. I domestici portarono il pranzo: una zuppa di lenticchie.

“Beh, sembra che i piatti semplici siano rimasti i tuoi preferiti…”

Un gesto di assenso dall’ex-imperatore.

“Sta a vedere… – mormorò lo zio al nipote – …ora mangerà tutto in massimo 20 minuti e non spiccicherà una parola”.

Un domestico portò il pane; Napoleone spostò il peso del suo sguardo dal vassoio al servitore, che subito si ritrasse sprofondando in un inchino.

“Ah già… – proseguì – …col pane è di gusti difficili”.

 

 

Un altro domestico versò il vino preferito dell’imperatore, il Chambertin che si era fatto spedire in ogni angolo d’Europa durante le sue campagne di conquista. Lo allungò con dell’acqua, così come era solito fare. Lo zio rabbrividì.

“Sai Francois, la diffusione del cibo in scatola è merito dell’imperatore…”

Altro gesto di assenso dell’imperatore.

“Davvero?”

“Certo, necessità militari. Come far sì che un esercito come la Grande Armée fosse costantemente fornito di cibo? Beh, il nostro caro imperatore fissò un premio di 12.000 franchi per chi avesse risolto il problema. Vinse lo chef Nicolas Appert nel 1810! Inventò un sistema per conservare il cibo in bottiglie sigillate con tappi di sughero e poi bollite in acqua. Con quegli stessi soldi aprì in seguito la prima impresa al mondo dedicata a confezionare cibo in scatola! E di lì a poco si accorse che le scatole di latta erano molto più pratiche delle fragili bottiglie di vetro. E così i soldati dell’imperatore erano costantemente forniti di cibo confezionato da aprire con le loro baionette”.

“E prima come facevano?”

“Eh, era una bella grana! Spesso si ‘prendeva qualcosa in prestito’ dalla popolazione locale. Ah, e lo zucchero era… – lo zio si schiarì la voce – è un conservante di importanza fondamentale come, di conseguenza, la coltivazione della barbabietola da cui viene estratto.

“Ah!”

L’imperatore aveva finito il suo pasto.

“Porta il vino di Las Cases!”, intimò a un domestico, che prontamente servì una bottiglia di Klein Constantia, il vino da dessert sudafricano che l’imperatore aveva imparato ad apprezzare durante il suo esilio e che il fidatissimo conte di Las Cases, ora suo segretario e futuro autore de Il Memoriale di Sant’Elena, gli aveva fatto conoscere.

“Ma è tutto qui?”, bisbigliò il nipote.

“Già! – rispose lo zio – Se hai scelto lui sperando di abbuffarti, ti è andata male. Napoleone mangia poco e ha gusti orribili”.

“Posso essere reso partecipe della conversazione?”, disse imperioso l’imperatore.

“Raccontavo a mio nipote del vino di cui il conte di Las Cases vi ha fatto innamorare!”

L’imperatore rigirò il bicchiere tra le dita.

“Già, è uno dei pochi piaceri che restano in quest’isola tormentata ora dalla nebbia e dall’umidità ora da un sole torrido e indolente”.

Napoleone Bonaparte vuotò il bicchiere.

“Caffè!”, intimò ai domestici, che subito servirono la bevanda in tre tazze di porcellana.

“Penso sia meglio che mio nipote non ne prenda…”, disse lo zio fermando il servo con un gesto della mano, “…tende a fargli uno strano effetto”.

“Ma…”, fece per protestare il nipote.

“Dammi retta… – lo bloccò lo zio – …questa brodaglia è imbevibile…”

 

Riccardo Vedovato

riccardo.vedovato1994@gmail.com

 

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