Nata a Salerno nel 1974, cresciuta nelle cucine dei ristoranti che i genitori – lasciata l’amata Costiera Amalfitana – aprono e chiudono con passione e costanza vivendo in diversi centri lombardi, premiata dalla stella Michelin nel 2010, oggi Viviana è “sostanza e colore” del ristorante VIVA Viviana Varese, uno spazio che ha progettato con attenzione, curiosità e creatività nel 2019 all’interno di Eataly Smeraldo, a Milano, con l’obiettivo di una sfida: mettersi in gioco personalmente, fondendo la cucina di mare che l’ha resa famosa e quella vegetale.
“Bisogna essere creativi e al passo con i tempi”, inizia a raccontarci, “perché la gente si stanca. La mia cucina, che è partita di mare, nel tempo si è avvicinata sempre più al mondo vegetale e oggi il 70% di quello che preparo è a base di verdura: che sia un accompagnamento, una zuppa, il cuore di un aperitivo. Collaboro con contadini e artigiani che mi mettono a disposizione della verdura viva, carica di energia. E il menu la segue. Non lo cambio una volta ogni 3 o 4 mesi, ma tutti i mesi e magari anche più spesso, se mi viene voglia!”.
Verdura viva in che senso?
Sono convinta che cucinare una melanzana raccolta il giorno prima o il giorno stesso abbia un sapore e una consistenza tutta diversa da una melanzana messa in cella e magari consumata dopo una settimana.
Oltre a essere l’acronimo di Viviana Varese, ho visto che la parola “viva” domina il tuo sito. Come mai? Che c’entra con la cucina?
È stata una rinascita personale e professionale l’apertura di questo ristorante. Mi sono separata da una socia e mi sono rimessa in gioco da sola, ritrovandomi “viva”. Sono ripartita da me stessa, dalle cose che mi piacciono, come i colori e l’arte. Li ho portati all’interno del ristorante. Dagli ingredienti che scelgo ai colori, alle forme d’arte, qui tutto è vivo.
Hai progettato spazio e oggetti con grande attenzione…
Sì. Mi sono avvalsa dell’aiuto di un’architetta bravissima, un’amica, e di un grande disegno di rebranding (rivitalizzazione del marchio, ndr) perché credo fosse un lavoro importantissimo. C’è stato uno studio sui menu molto accurato, sugli arredi, le luci… Abbiamo usato una carta iridescente che permette alla sala di cambiare colore durante la giornata.
La stessa carta dei vini è dotata di una pellicola iridescente (speriamo di tornare a usarla presto) che la rende mutevole e quindi viva. Il porta-dolcini finale è un gioco tutto colorato e quando arriva il sole sui tavoli si producono effetti incredibili… Anche le mie pietanze sono molto centrate sul colore. È stata una cosa inizialmente intuitiva e poi è diventata un segno distintivo, una mia matrice.
Hai aperto poco prima della pandemia. Quanto resta importante quello che mi stai raccontando?
Molto. Credo che in questi mesi la bellezza ci manchi tanto. Ci manca andare a teatro, in un museo… Il ristorante deve essere un luogo di nutrimento, in senso ampio. Nutrimento del corpo e dell’anima. Ormai tutti hanno imparato a cucinare. Bisogna andare oltre. La gente oggi ha proprio voglia di godersi il pranzo, l’esperienza.
Da voi può farlo più tranquilla. Ho visto che avete installato un sistema di purificazione dell’aria.
Sì, abbiamo ridotto tanto i coperti e ci avvaliamo della nuova tecnologia iUTA per sanificare l’atmosfera. Questo sistema identifica e debella i batteri e i virus presenti nelle unità di trattamento d’aria, sfruttando raggi ultravioletti, e permette di re-immettere quest’ultima nell’ambiente purificata dal Covid al 99%.
Secondo te perché sono così pochi ancora a sfruttare questa e altre tecnologie di sanificazione dell’aria? In questi mesi tanti hanno messo a punto dispositivi capaci di “uccidere” il Covid, ma li vedo pochissimo utilizzati.
La tecnologia c’è, ma nessuno ne parla. È un mistero. Io sono stata una delle poche a decidere di non riaprire se non fossimo stati sicuri e certi, perché aprire e chiudere è un danno enorme. La Germania ha investito moltissimi soldi per installare questi sistemi nelle scuole.
Ho visto che in questi mesi hai fatto tantissime cose, a corredo del ristorante.
Ho deciso di sfruttare la conoscenza e le attrezzature che avevo, e quindi ho lavorato sui prodotti da far arrivare a casa: marmellate, creme spalmabili, verdure. Ho delle macchine all’avanguardia, una in particolare, Roboqbo; è un super robot ipertecnologico, mi sembrava assurdo non sfruttarlo. E così abbiamo fatto tutta una serie di canditure; da quelle è nata l’idea del panettone e abbiamo salvato il Natale! È stato un anno duro per noi ristoratori. Anch’io ho dovuto ridurre di molto il personale; l’anno prossimo bisognerà tener botta. Però, per chi ha pagato le tasse gli aiuti ci sono stati, e il mio progetto, dopo questo ridimensionamento obbligatorio, è crescere di nuovo, piano piano.
Una battuta su Eataly che ti ospita?
Sono molto grata. Quello che ho chiesto ho avuto: grande fiducia, ospitalità. Sono fortunata.
Una curiosità. Quando esci, che cosa vai a mangiare?
Cerco posti che fanno una cucina diversa dalla mia, e mi piacciono sia i posti semplici che i ristoranti stellati. A casa sinceramente mangio verdure, minestroni e pastina!
Marta Pietroboni