LA CHIMICA DELLA BISTECCA

Nel bene e nel male (in realtà in questo periodo più nel male che nel bene) non si fa che parlare di carne. Perciò mi è sembrato particolarmente interessante il contributo di un chimico, Dario Bressanini (La scienza della carne, s’intitola il suo ultimo libro, sottotitolo La chimica della bistecca e dell’arrosto) che non fa sentire noi carnivori, turbati ma perseveranti, dei primitivi irresponsabili. La prima cosa che gli ho chiesto è stata quindi: “ma lei mangia carne?”. Mi ha risposto che sì, la mangia, anche se da tempo sta provando a ridurla. “Difficile – dice – privarsi di una cosa che piace, ma visto che la ricerca sostiene che i regimi troppo ricchi di carne o comunque di proteine animali sono negativi per la salute, è effettivamente opportuno inserire nella dieta più vegetali”.

 

 

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Quando e perché ha deciso di occuparsi di alimentazione?

 

È una passione che viene da lontano, da quando, studente di chimica con una borsa di dottorato, sono stato spedito negli Stati Uniti per un anno. Là ho imparato a cucinare. La mamma m’inviava per posta le ricette dei piatti che mi piacevano, il ragù, il coniglio… Quando poi ho cominciato a insegnare, ho visto che era molto utile servirsi a livello didattico di esempi tratti dalle esperienze della cucina. Quindi spesso tiravo in ballo nelle lezioni le melanzane alla parmigiana, la macedonia, le bistecche…

 

Ha iniziato anche a lavorare come divulgatore scientifico…

 

Si, visto che mi piace mangiare e amo cucinare, ho cominciato a osservare quello che facevo con un occhio più scientifico. Quando ho avuto l’occasione di tenere una rubrica sulla rivista Le Scienze, ho in un certo senso ribaltato quello che facevo in università. Mentre a lezione usavo degli esempi culinari per spiegare la scienza, nella rubrica, che è rivolta a un lettore non specializzato, uso la scienza per spiegare i perché della cucina.

 

Ma come scrive un chimico? Formule, schemi, concetti complicati? Questo suo ultimo libro per esempio è alla portata di tutti?

 

Si, assolutamente, è scritto pensando a chi non sa nulla di chimica, di fisica, di biologia e non ne vuole sapere nulla. Ci sono nel testo dei passaggi per chi volesse approfondire la parte scientifica, ma il testo è assolutamente pensato per il lettore che vuole semplicemente mettere in pratica, in cucina, le cose che spiego, i procedimenti che suggerisco per raggiungere i risultati che descrivo.

 

Molte pagine sono dedicate alla cottura della carne…

 

La novità è la cottura a temperature controllate, futuribile nelle nostre case ma ormai una realtà nelle cucine di molti ristoranti. A me non piace chiamarla cottura a basse temperature perché in realtà il punto chiave è cucinare alla temperatura prestabilita, che siano 50 °C o 80 °C. Se riuscissimo ad avere in casa degli apparecchi che cuociono con questa precisione, permettendo di controllare l’intensità del calore, sarebbe molto più facile preparare certe ricette. Come spiego nel libro, una differenza di 5 °C all’interno di un arrosto o di una bistecca può fare la differenza tra un ottimo piatto e un alimento duro e immangiabile. In realtà, esperimenti di cottura per un tempo lungo o lunghissimo e a bassa temperatura sono vecchi di quasi due secoli. Sono stati effettuati per la prima volta dal fisico Benjamin Thompson, conte di Rumford (1753-1814), e riscoperti solo di recente dagli chef di tutto il mondo.

 

Cosa ne pensa del crudismo?

 

Bisogna distinguere due aspetti. Uno è quello gustativo, e qui è questione di scelte personali; per l’altro, invece, nutrizionale e salutistico, il crudismo non è così utile come viene raccontato. Prima di tutto mangiare carne e prodotti animali crudi espone a dei rischi. Inoltre, spesso si sostiene che i cibi crudi, tipicamente la frutta e la verdura, sono più nutrienti di quelli cotti. In realtà non è così. Ci sono alcune vitamine che vengono effettivamente distrutte dalla cottura, però ci sono nutrienti, come i licopeni o i caroteni, che invece sono resi fruibili per il corpo umano proprio dalla cottura, per cui, per esempio, si assorbe molto più carotene da una carota cotta che da una cruda. Quindi, dal punto di vista nutrizionale l’ottimo sarebbe alimentarsi con un mix di cose crude e cotte.

 

E il suo parere sui vegani?

 

Per molti è una scelta etica e come tale rispettabile. Quello che non si può dire, invece, è che una dieta vegana sia la migliore possibile, tanto è vero che c’è bisogno di un’integrazione, per esempio con la vitamina B12 che si trova solo nei prodotti animali. In letteratura ci sono delle controindicazioni per il feto quando la mamma è vegana. Bisogna esserne consapevoli e farsi seguire per aggiungere appunto vitamina B12, acido folico… La dieta vegana “fai-da-te” è rischiosa, soprattutto per i bambini.

 

Sfatiamo, per concludere, qualche falso mito…

 

Alcuni insegnanti delle scuole di cucina dicono ancora che “sigillare” la carne previene la perdita di succhi. Per “sigillatura” s’intende una rosolatura veloce che produce una crosticina che dovrebbe impedire l’uscita dei succhi. Questo non è assolutamente vero: i succhi escono lo stesso, è stato scientificamente provato. Oppure alcuni hanno paura di salare le bistecche prima della cottura perché temono che diventino asciutte, il sale n’estrarrebbe i liquidi. In realtà è vero proprio il contrario: salare prima, almeno certi tipi di tagli, permette loro di mantenere più succo.

 

Paola Chessa Pietroboni

 

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