È a un certo Lucien Olivier, nato nel 1838 a Mosca, russo di origini belghe, che si dovrebbe l’invenzione dell’insalata Olivier, meglio conosciuta con il nome di insalata russa.
Lucien nel 1860 inizia a lavorare al ristorante Hermitage, famoso per adattare ai gusti russi la cucina francese. Dieci anni dopo, ne diviene il proprietario. È lui che avrebbe ideato l’insalata russa. Punto. E l’articolo potrebbe concludersi qui… se non fosse per un piccolo problema, beh più di uno in realtà; ma andiamo con ordine.
Problema numero uno: non si capisce bene da dove sia saltato fuori questo Lucien Olivier. Secondo i dati dell’Impero Russo, tra il 1840 e il 1850 sarebbe esistito un mercante, tale Anton Olivier, di cui però non si ha notizia di un possibile collegamento con il nostro misterioso Lucien. A far luce sulla faccenda provvedono (o almeno tentano di provvedere) le ricerche di Alexei Alekseev, che non trova traccia di alcun Lucien nei registri dell’Hermitage. Scopre piuttosto un certo Nicolaj Olivier, ipotizzando che il buon Nicolaj abbia cambiato nome in un secondo momento per enfatizzare la pubblicità derivante dal suono francese del suo cognome. Volete mettere “chef Lucien Olivier”? Dai, suona mille volte meglio in un ristorante pseudo-francese!
Ma, quindi, l’insalata russa è russa oppure no? Se ci accontentiamo di stabilire che la ricetta sia stata inventata sul suolo russo, pur non essendo un piatto della tradizione o da essa derivato, potremmo dire di sì. Se non fosse per un secondo piccolo problema: la ricetta dell’Hermitage non è che abbia molto a che vedere con l’insalata russa che conosciamo oggi, a meno che voi non ci mettiate lingua fredda, salsiccia, prosciutto, tartufi, qualche cappero e che ingentiliate il tutto con un po’ di alici sotto sale; oppure magari delle pernici, uova sode, cetrioli sottaceto, gamberi di fiume, gelatina e patate lesse. Queste sono le due allettanti versioni che propongono le fonti.
Ancora una volta, le origini sono più complicate di quanto il nome vorrebbe far pensare. Anche perché il piatto è ormai diffuso in tutto il mondo, e gli appellativi con cui viene indicato spesso contraddicono il suggerimento geografico che ci fornisce: in Danimarca, Norvegia e Finlandia è chiamato “insalata italiana”, in Germania allo stesso modo oppure “insalata Olivier”, nome con il quale è conosciuto in Russia, ma anche in Iran, mentre in Olanda è “insalata degli Ussari”, in Lituania “insalata bianca”, e invece in Portogallo, Spagna, Francia, Romania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Grecia, Serbia, Turchia, come da noi, si chiama “insalata russa”. Per Sloveni, Croati e Ungheresi è l’“insalata francese”. Ora, chi ha ragione? Il bandolo della matassa si potrebbe recuperare trovando il Paese nel quale è provato che nasca come ricetta; i nomi fuorvianti si spiegherebbero così con il viaggio del piatto in giro per il mondo; ogni trasformazione potrebbe testimoniare una tappa di quella ricetta. Già, magari fosse così facile! Cerchiamo di non complicarci troppo la vita.
Un’altra ipotesi, la cui sussistenza in termini di fonti è alquanto discutibile, vedrebbe come protagonista l’invasione francese della Russia nel corso delle campagne napoleoniche, durante le quali il politico francese Lucien Olivier (sì, stesso nome. Coincidenze? Credo proprio di sì) l’avrebbe introdotta nel Paese.
Un’ulteriore ipotesi vuole invece come figura di spicco l’Italia, ma non semplicemente l’Italia, proprio Caterina de’ Medici, che, quando si parla di origine di piatti e ricette, sembra sia il punto d’origine di ogni cosa: dall’anatra all’arancia all’insalata russa, appunto. L’ennesima versione-leggenda la vorrebbe inventata in Piemonte in onore della visita dello zar alla corte dei Savoia, che l’avrebbe amata tanto da portarsela in patria.
Per quanto ne sappiamo, l’insalata russa, con questo nome, compare in Italia quando l’Ottocento sta ormai finendo. Nel 1868 fa la sua comparsa nel Re dei cuochi, storico trattato di gastronomia da chilo (letteralmente, il libro pesa un chilo) riproposto in 14 edizioni, le più antiche delle quali potete aggiudicarvi in siti e librerie specializzati per modiche cifre tra i 300 e i 400 euro. Nel Novecento, la ricetta viene ripresentata da sua eccellenza Pellegrino Artusi e da Nostra Signora Ada Boni, che abbiamo già conosciuto in articoli precedenti, rispettivamente autore e autrice de La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene e Il talismano della felicità. La considerevole differenza tra la versione “originale” e quella attuale potrebbe dipendere dal crollo della Russia zarista, in cui era un piatto da ricchi, a favore dell’Unione Sovietica, nella quale si sarebbe popolarizzato con l’uso di ingredienti più poveri, attestandosi come immancabile nei pranzi festivi, specialmente Natale e Capodanno. A fare il resto è stato probabilmente il concetto di “agency”, ovvero la capacità degli esseri umani di far accadere le cose, di mettere le mani nella propria vita, cultura e tradizioni, catturando l’essenza dell’insalata russa in quanto “cose annegate nella maionese” e rielaborandola a proprio piacimento.
Riccardo Vedovato
riccardo.vedovato1994@gmail.com