IL GRANO

I cibi che hanno eretto palazzi. Esistono alimenti che hanno trasformato noi e la nostra società a tal punto da renderci irriconoscibili dai nostri antenati.

La carne ci ha modificato fisicamente: ha permesso al cervello dei nostri antichi progenitori di triplicare il suo volume. Altri alimenti, invece, hanno cambiato il modo in cui pensiamo. Tra questi, 3 colture che hanno trasformato totalmente i mondi di cui sono diventate centro, forgiando civiltà: il grano, il riso, il mais.

 

 

 

Oggi ci occuperemo della prima, sulla quale saldamente poggia la nostra storia.

Dalla raccolta di erbe spontanee gli esseri umani scoprirono e domesticarono una pianta le cui cariossidi, che noi chiamiamo comunemente chicchi, sono alla base della magia che ci permise non solo di inventare il pane, ma anche di fare da base e spinta per la nascita delle grandi civiltà del mondo antico.

Facciamo un passo indietro: cos’è una cariosside? Al lettore che non prova alcuna curiosità di fronte a questa domanda suggerisco di saltare il seguente paragrafo; non gli serberò rancore!

Le cariossidi, per cominciare, sono un frutto. Un po’ strano come frutto, potreste pensare. Non assomigliano certo a ciò che noi normalmente consideriamo tale. Per comprendere meglio la questione, prendiamone uno che tutti noi conosciamo: una drupa di Prunus persica, una pesca. È un tipo di frutto in cui riusciamo a vedere benissimo le due componenti: un pericarpo, e cioè tutto quello che sta attorno al seme (dal greco, infatti, περί “attorno” e καρπός “frutto”, dunque “il frutto che sta attorno”) e il seme. A sua volta, nel pericarpo possiamo vedere altre tre componenti: l’esocarpo (buccia), il mesocarpo (polpa) e l’endocarpo (la parete esterna dell’“osso” della pesca, che protegge il seme). Tutti i frutti sono costituiti da queste componenti. Non in ognuno di essi, però, la distinzione è così evidente come in una pesca. Prendiamo una nocciolina: appartiene al tipo di frutti detto “noci”, e anche qui ci sarebbe da fare un appunto, perché i botanici amano complicare le cose. La noce, di cui mangiamo i gherigli, non è, in senso botanico, una noce. Possiamo dire, in breve, che sta al frutto del suo albero (il noce) come l’“osso”, il nòcciolo, della pesca, sta alla pesca: è quindi l’insieme di endocarpo e seme. Ora, nelle noci, noccioline, ghiande e castagne, le tre componenti del pericarpo (buccia, polpa e parete esterna dell’osso) sono fuse insieme in un guscio legnoso, che contiene il seme. Ecco, le cariossidi hanno voluto strafare, perché in esse il pericarpo è fuso anche col seme.

La prima attestazione di grano coltivato risale al Vicino Oriente del 9.600 a.C. e in 3.000 anni raggiungerà Grecia, Cipro e il subcontinente indiano. Altri 500 anni e si diffonde in Egitto; altri 1.000 e lo troviamo in Germania e Spagna. Saranno però proprio gli Egizi a inventare il pane e ad avviare la prima “industria” su larga scala.

In che modo un cibo permette il sorgere di una civiltà? Beh, se confrontiamo il grano con altri prodotti agricoli, notiamo che la sua conservazione è molto più semplice e duratura. Poter disporre di grandi quantità di cibo che non deperisce nel breve termine permette l’aggregazione di un maggior numero di esseri umani. La necessità di immagazzinare, conservare e conteggiare questa risorsa rende necessario non solo lo sviluppo di complessi meccanismi sociali di controllo, ma anche di un sistema affidabile che permetta di conservare tali calcoli e conteggi, incentivando lo sviluppo di sistemi di scrittura. Ecco che dietro un semplice “chicco” di grano, macinato a pietra, polverizzato e impastato con acqua, si nasconde il fiorire del Vicino Oriente e delle civiltà del Mediterraneo.

Non è un caso che proprio il grano faccia parte della fondamentale triade greca pane, olio e vino e che la dea dell’agricoltura Demetra – tra i Romani il suo corrispettivo è Cerere – abbia proprio delle spighe di grano come simbolo. Ed è sempre nella mitologia greca che possiamo intravedere questo processo. I predecessori degli dèi, dei theoí greci, erano i titani, figli di Urano (il cielo) e di Gaia (la terra). Il più potente di essi, Crono (il tempo), usurpa e uccide il padre e genera con la moglie e sorella Rea dei figli che egli stesso però divora subito, per una ragione ben precisa: il padre morente aveva profetizzato che sarebbe stato proprio uno dei figli a ucciderlo. Uno di essi, però, scamperà al destino fatale. Rea partorisce l’ultimogenito, Zeus, di notte e consegna in pasto al marito una pietra avvolta da lenzuola a simulare il figlio, che con l’aiuto della madre Gaia venne condotto di nascosto a Creta, dove cresce fino all’età adulta. Divenuto sotto mentite spoglie coppiere del padre, gli somministra un emetico, grazie al quale vomita tutti i suoi figli illesi e adulti. Scoppia la guerra tra dèi e titani, con la sconfitta dei secondi a favore dei primi. A Gaia, la potenza ancestrale della terra, la Natura, si affianca Demetra, l’agricoltura, un po’ come se gli dèi, forze della cultura, avessero soppiantato i titani, forze della natura, dando poi agli esseri umani vita e prosperità.

Riccardo Vedovato

riccardo.vedovato1994@gmail.com

 

 

 

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