Per saperne di più sul caffè mi sono rivolta al super esperto Diego Allaix, ex dirigente della Illycaffè S.p.A. da poco in pensione. Mi ha spiegato molte cose, partendo dalle prime nozioni relative alla pianta produttrice dei preziosi semi: famiglia delle Rubiacee, genere Coffea, un centinaio di specie tra le quali le più vendute sono l’arabica e la robusta.
Meglio l’una o l’altra?
Farei un paragone con il vino. Si può dire che l’uva bianca è meglio della rossa? Certo che no. Vale anche per l’arabica e la robusta. Se confrontiamo le migliori dell’una e dell’altra specie, possiamo solo dire che l’arabica è un prodotto più aromatico, più equilibrato, con un contenuto inferiore di caffeina. C’è chi preferisce l’arabica ma c’è anche chi preferisce la robusta. Allora dobbiamo dire che i migliori caffè sono quelli che più ci piacciono. Il mio personale punto di vista è che i migliori arabica sono un passo sopra ai migliori robusta.
Il profano distingue dal sapore l’uno e l’altro?
Sì, se debitamente accompagnato. Di nuovo, se beviamo il vino con una persona che ce lo spiega lo capiamo senz’altro, da soli è più difficile. Allora diciamo che con il gusto possiamo riconoscere il dolce, l’amaro, l’acido e il salato. Il salato nel caffè non compare. Dal punto di vista del gusto il caffè deve essere equilibrato, senza eccessi di dolce, amaro o acido. Altra cosa sono gli aromi, che noi percepiamo con l’olfatto. L’olfatto può analizzare una gamma immensa di profumi, dal cioccolato, al gelsomino, alla frutta, al pane tostato ma anche, in negativo, dalla gomma bruciata all’olio rancido, e altro ancora. Noi Italiani che siamo abituati a bere il caffè in 30 secondi dobbiamo imparare a percepire in quei 30 secondi il rapporto tra dolce, amaro, acido e i profumi che ci rimangono nel naso prima e dopo aver bevuto.
I processi di torrefazione e di macinatura sono importanti?
Molto importanti. Il caffè si tosta di solito in 12-15 minuti. Se lo tostiamo un minuto in più, la tazzina sarà amara. Se lo tostiamo un minuto in meno, la tazzina sarà acida. La stessa cosa, ma in tempi infinitamente superiori, succede con il pane: la pasta di un pane non lievitato è acida, il pane bruciato è amaro. Ma tra l’acido e l’amaro del pane passano ore, mentre nella torrefazione tra l’acido e l’amaro del caffè bastano 60 secondi. Altra regola: se io metto in una moka troppo caffè avrò una tazzina amara, se ne metto troppo poco avrò una tazzina acida. Se faccio il caffè espresso con una temperatura troppo alta avrò una tazzina amara, se troppo bassa una tazzina acida.
Come incidono i diversi modi di confezionamento?
Il caffè in grani ormai è venduto quasi esclusivamente ai professionisti, i quali lo macinano poco alla volta. Questo perché il caffè è come un profumo: lasciando aperta la boccetta, il profumo se ne va. A casa però lo compriamo già macinato, confezionato in un barattolo in cui si è tolta l’aria e si è aggiunto un gas inerte che lo tiene pressato con tutti i suoi aromi (si chiama pressurizzazione). Chiuso, il caffè dura a lungo, anni addirittura. Ma nel momento in cui lo apro, devo consumarlo molto velocemente. Se mi dovesse durare più di una settimana, farei bene a metterlo in frigorifero. Le cialde e le capsule sono la cosa più comoda che ci sia perché non occorre dosare la quantità di caffè. Le macchine per il caffè con cialde o capsule sono per lo più sistemi chiusi, cioè ogni macchina è predisposta per la sua capsula, e si ottiene un prodotto molto simile all’espresso che beviamo al bar.
L’acqua è importante?
Si, certamente. L’acqua del rubinetto potrebbe sapere di cloro, il disinfettante usato dalle municipalizzate. Sulla bolletta però noi abbiamo i dati di cloro, bicarbonato, calcio, magnesio ecc., possiamo confrontarli con quelli indicati nell’etichetta di una bottiglia di acqua minerale. Se i dati sono decisamente discordanti è meglio usare l’acqua minerale, non gassata naturalmente, se invece la municipalizzata offre un prodotto buono, come nella maggior parte dei casi in Italia, possiamo usare tranquillamente l’acqua del rubinetto. Cosa che io faccio regolarmente.
Mi parli dell’Università del Caffè
È nata nel 1999 come scuola di formazione per i nostri clienti di riferimento, i baristi. Poi con l’andare degli anni si è sviluppata lungo 3 dorsali: la prima, sempre con i corsi a 360° per i professionisti ai quali insegniamo, oltre a come si fa un caffè con la macchina espresso, anche come si gestisce un dipendente, si redige un budget o come si allestisce una vetrina; la seconda dorsale, che ho avuto l’opportunità di portare a compimento, è dedicata ai consumatori ai quali spieghiamo tutto quello che c’è da sapere sul caffè; e poi la terza con la scuola di formazione ai dipendenti, ai nuovi arrivati, alla forza vendita… L’Università del Caffè è quindi una Corporate University un po’ allargata. Expo a Milano è stata una delle nostre maggiori attività del 2015, abbiamo fatto corsi di formazione in diverse lingue e con moltissime persone.
Come si fa a frequentare l’Università del Caffè?
Si va sul sito unicaffe.illy.com e si vedono i calendari. Abbiamo molte sedi nel mondo e in ognuna di loro organizziamo dei corsi. Si può anche fare su richiesta: se un certo numero di persone, iscritte a una scuola di cucina o di sommellerie, volessero dedicare qualche ora del corso alla degustazione o alla cultura del caffè, noi siamo disponibili ad andare.
Fate corsi anche in Cina. C’è oggi un nuovo interesse per il caffè?
Un interesse crescente. Ho avuto l’impressione che in questi Paesi, dove non si usava assolutamente consumare caffè pur producendone dell’ottimo, si stia cominciando a bere il caffè per il piacere di berlo e non solo per emulare gli usi occidentali.
Paola Chessa Pietroboni