VANIGLIA

Tanto tempo fa, in una terra lontana conosciuta poi con il nome di Messico, cresceva un’orchidea dai fiori gialli.                            Era caratterizzata da petali piuttosto sottili rispetto alle cugine che oggi usiamo come piante ornamentali. I nativi Totonac, sulla costa orientale del Paese, la chiamano xanath, che significa “fiore nascosto”, mentre i Mexica – che noi conosciamo come Aztechi e che reggevano l’impero conquistato poi dagli spagnoli – la chiamavano tlilxòchitl (“tlil-sciò-citl”), ovvero “fiore/baccello nero”.

 

 

Gli iberici scelsero un nome meno poetico, con il termine vaina (divenuto poi “vainilla”) dal latino vagina, che significa “fodero, guaina, baccello”, da cui deriveranno vari vocaboli europei per riferirsi alla pianta, come l’italiano “vaniglia”.

I Totonac l’utilizzavano in molti modi: per profumare i templi, per produrre amuleti beneaugurali e, naturalmente, per aromatizzare cibi e bevande. Il loro esempio fu seguito dagli Aztechi: meno di un secolo prima della scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo ne invasero e conquistarono il territorio e svilupparono una vera e propria passione per i baccelli di vaniglia. Amavano mescolarli al cacao (in nahuatl, la loro lingua, “cocoatl”) in una bevanda chiamata xocolatl, cui dobbiamo la nostra moderna cioccolata calda.

La bibita (e l’alimento) aveva una tale importanza da divenire simbolo di potere e i “bicchieri da cacao” costituivano oggetti di lustro cui veniva dedicata un’attenzione tale da renderli simili alle porcellane del “servizio buono” da tè in Inghilterra. È probabile che la vaniglia servisse a compensare il gusto amaro del cacao, dato che la canna da zucchero non era coltivata in queste regioni e non vi erano a disposizione molte alternative in materia di dolcificanti.

Il merito di aver portato in Europa sia il cacao che la vaniglia è attribuito a Hernán Cortés, capo dei conquistadores ritornato in patria nel 1520. Per i successivi due secoli, i suoi baccelli vennero visti per lo più come un ingrediente della bevanda a base di cacao, almeno fino a quando Hugh Morgan, speziale (farmacista dell’epoca) della corte di Elisabetta I, creò i primi dolcetti, rivelando il potenziale della spezia!

I francesi nel ‘700 iniziarono per primi a utilizzare la vaniglia per aromatizzare il gelato, con un successo tale che lo stesso Thomas Jefferson, uno dei protagonisti della Rivoluzione americana, durante il suo soggiorno a Parigi in qualità di ministro dei neonati Stati Uniti  ne trascrisse su un foglio la ricetta, che ora si trova nella biblioteca del Congresso. Evidentemente, i due popoli hanno iniziato a detestarsi dopo, ma durante la guerra di indipendenza i primi giocarono un ruolo (indiretto) fondamentale per la sconfitta degli inglesi.

La vaniglia però ha un problema. Vanilla planifolia  è una liana rampicante che nessuno riusciva a far riprodurre al di fuori nel suo habitat naturale e non si capiva il perché. È la ragione per la quale il Messico detenne il monopolio assoluto del suo commercio fino al XIX secolo. Il segreto stava nel fatto che a giocare il ruolo chiave nella fecondazione del fiore era un’ape senza pungiglione del genere Melipona, l’unico impollinatore in grado di farlo riprodurre. Ma perché? Beh, perché nel fiore organi maschili e femminili sono separati dal rostello (una specie di linguetta) e dal cappuccio che ricopre i primi, per proteggerli. In natura, l’ape esegue un intervento specializzato durante la sua azione di impollinazione, strappando i cappucci e mettendo in contatto organi maschili e femminili.

Questa operazione fu in qualche modo compresa da Edmond Albius, uno schiavo che lavorava nelle piantagioni dell’isola Bourbon (oggi isola Riunione) a largo del Madagascar, dove alcuni imprenditori avevano importato la pianta nel tentativo fino ad allora vano di coltivarla e infrangere il monopolio messicano. Edmond scoprì che, per permettere la fecondazione, era necessario agire in fretta e con precisione: i fiori durano infatti poche ore e sbocciano la mattina solo se non ha piovuto, poiché l’umidità ne inibisce la formazione.

Bisogna tenere con delicatezza la corolla usando un dito come punto d’appoggio sotto la parte centrale, detta colonna, e, utilizzando uno strumento appuntito (ma non tagliente) come uno spillo o un aculeo, si procede a lacerare il cappuccio che copre gli organi maschili e poi si raddrizza il rostello (la linguetta di cui parlavamo) che li separa dagli organi femminili. Con le dita si avvicina lo stame (dove si trova il polline) allo stigma permettendo così la fecondazione.

La scoperta rese l’isola il primo centro vanigliero extra-messicano; da questa prese poi il nome la varietà più famosa e diffusa di vaniglia, permettendone l’esportazione in tutti i territori della fascia tropicale: dal Brasile ai Caraibi, al Centrafrica fino all’arcipelago indonesiano.

Oggi, oltre alla Bourbon esistono due varietà di vaniglia: la Tahiti, estremamente costosa per via della produzione ridotta, che ha un aroma più dolce con un vago sentore di prugna; e la Tahitensis con un aroma caldo e speziato e un tocco di anice.

Riccardo Vedovato

riccardo.vedovato1994@gmail.com

 

 

 

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