NOVEL FOOD

Insetti, carne coltivata, alghe… Da tempo i giornali sono invasi da titoli che ci avvertono, con toni allarmistici, di come potrebbe rivoluzionarsi nel prossimo futuro la nostra alimentazione.

Ma è davvero il caso di preoccuparsi? Che cosa ci riserva il futuro del cibo?Prima di tutto, per affrontare correttamente la questione dei cosiddetti “novel food” (è così che si chiamano i cibi nuovi per l’Unione europea) occorre contestualizzarla nella sua giusta dimensione.

Con una popolazione mondiale in costante crescita, che si prevede raggiunga i 9,7 miliardi di persone entro il 2050, la pressione sulle risorse naturali e sui sistemi di produzione alimentare è infatti destinata ad aumentare, rendendo indispensabile trovare soluzioni che superino i limiti dell’attuale modello agroalimentare, inadatto a soddisfare i bisogni del Pianeta.

 

 

Secondo i dati della ONG (Organizzazione Non Governativa senza fini di lucro, ndr) Global Footprint Network che ogni anno monitora i consumi e la biocapacità del Pianeta di rigenerare le proprie risorse, se tutta la popolazione mondiale vivesse come noi italiani, dovremmo avere a disposizione 2,7 Pianeti per sfamarla (gli statunitensi si comportano ancora peggio: non basterebbero 5 Terre…). Sono dati che dipingono una realtà decisamente preoccupante, alla luce della quale la ricerca rivolta a individuare nuove fonti alimentari offre prospettive di grande interesse, da considerare senza pregiudizi ideologici, valutandone tanto i potenziali benefici quanto i possibili rischi, nella consapevolezza che è comunque urgente aprirsi a nuovi modelli alimentari.

I novel food, secondo la regolamentazione dell’Unione europea, sono quei prodotti alimentari che non vantano una storia di consumo “significativo” (almeno 25 anni) all’interno dell’UE prima del 15 maggio 1997. Dalle proteine alternative, come le micoproteine e gli insetti, fino ad arrivare a nuove varietà di alghe e alimenti prodotti mediante la coltivazione cellulare (alla base di quella che erroneamente viene chiamata da molti “carne sintetica”) la schiera dei novel food si amplia di continuo, frutto di una ricerca tesa a offrire soluzioni efficaci ai problemi di sicurezza alimentare, sostenibilità e nutrizione presenti e futuri. Ma, chiarito il contesto generale, alcune domande sono più che lecite: i novel food sono sicuri? La loro produzione ucciderà la nostra agricoltura?

Quanto alla sicurezza, prima di essere messo in commercio sul territorio UE, ogni novel food deve affrontare un lungo iter che prevede la produzione di prove incontrovertibili volte a dimostrare che sia sicuro, non solo per la salute dell’uomo, ma anche per quella dell’ambiente. È l’EFSA – l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, istituita nel 2002, con sede a Parma – ad analizzare tutte le ricerche e i dati prodotti (tantissimi e frutto di anni e anni di prove e studi), e a decidere se il nuovo alimento può essere commerciato o meno in Europa.

Poi, naturalmente, il parere dell’EFSA deve essere sottoposto alle autorità dei diversi Paesi, che possono chiedere, se non sono convinti, ulteriori prove. Il sistema europeo di valutazione della sicurezza degli alimenti è considerato il più avanzato al mondo, e il principio di precauzione sul quale si basa non ha mai condotto a situazioni di rischio per la popolazione. Insomma, sul piano della sicurezza… si può stare tranquilli.

Diversa è la questione se introdurre alimenti nuovi e distanti dalle nostre abitudini possa nuocere agli interessi nazionali. Da una parte, infatti, i novel food rappresentano un’area di potenziale crescita significativa, ma dall’altra sono una sfida per i tradizionali settori agroalimentari. In questo quadro, fa riflettere come in Italia, nelle Marche, un’azienda abbia da poco affiancato alla produzione agricola tradizionale anche quella di grilli, e con ottimi risultati, anche sotto il profilo economico. Un pensiero in questo senso andrebbe fatto…

Del resto, è la stessa storia dell’uomo a insegnarci che quelli che oggi chiamiamo “novel food” hanno sempre accompagnato l’evoluzione della nostra specie: sarebbero stati per noi “cibo nuovo” tanti alimenti tipici come le patate, i pomodori, il peperoncino e la maggior parte dei fagioli prima che si scoprisse l’America, e quando agli inizi degli anni ’80 fece la sua comparsa in Italia il kiwi, pochi avrebbero pensato che quel “novel food” sarebbe diventato addirittura una nostra produzione IGP. Senza dimenticare i mutamenti radicali che hanno introdotto nello stile di vita dell’uomo innovazioni tecnologiche come la pastorizzazione, la sterilizzazione, la surgelazione.

Addirittura il formaggio, il vino, il pane, la birra e molti altri alimenti che oggi sono il primo simbolo della tradizione sarebbero stati “novel food” ai tempi della loro comparsa.

In conclusione, come sempre, viene da dire che è la storia passata a indicare il percorso del futuro…

Giorgio Donegani

Tecnologo alimentare

www.giorgiodonegani.com

 

 

 

 

 

 

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