Cucumis melo… il nome altisonante del melone anticipa l’eleganza dei suoi sapori, che ne fanno il prestigioso compagno di gamberi e prosciutto in raffinati antipasti, piuttosto che di Porto o Madeira in sofisticati dessert “da meditazione”.
Citrullus vulgaris… suona diversamente il nome dell’anguria: eccessiva nelle dimensioni che obbligano a prove di forza per ridurla a fette, è perfettamente a suo agio sulle cerate appiccicose dei chioschi estivi, dove spande senza ritegno il liquido zuccherino che non riesce a trattenere.
Illustrazione di Libero Gozzini, che dal 2009 è tra i fondatori, nonché docente e consulente, del Mimaster di Milano.
Don Chisciotte e Sancho Panza della macedonia
Strana coppia… una sorta di Don Chisciotte e Sancho Panza della macedonia, diversi nello stile, ma uniti nel ruolo riconosciuto di simboli dell’estate: quasi delle “bevande solide” (contengono più acqua della coca-cola) dolci, gustose e preziose alleate nella lotta contro la sete. E non c’è regione che non dedichi a entrambi il giusto tributo con feste e celebrazioni, che però sembrano marcare ulteriormente la distanza “di classe” che li separa. Così, se in Francia è attiva la Confraternita dei Cavalieri dell’Ordine del Melone di Cavaillon, istituita in onore di Alexandre Dumas quale grandissimo estimatore di questi frutti, in Italia la simpatia verso le angurie si esprime ad Altavilla Irpina (AV), dove si tiene l’annuale Palio dell’Anguria, rallegrato da una corsa d’asini.
Per non parlare del trattamento che si riserva ai due per valutarne la qualità: il melone si soppesa, lo si tasta delicatamente (se alla pressione delle dita presenta una superficie troppo cedevole, è da scartare) ma soprattutto lo si annusa come se si dovesse valutare una fragranza di Dior. Il meglio? Lo abbiamo se, odorandolo in diversi punti della buccia, ci regala un aroma tipico e giustamente intenso.
E l’anguria? La si tratta con tutt’altro riguardo. I più irrispettosi provano a valutarne la maturazione graffiando via un po’ di buccia con un’unghia: se si stacca facilmente, il frutto è maturo al punto giusto. Ma ciò da cui non può sfuggire sono le percosse a cui viene sottoposta con piacere quasi sadico da veri o presunti “intenditori”. Se poi il frutto valutato con tanta cura dovesse deludere, la colpa sarà solo della sua indole traditrice e non di chi lo ha scelto.
Ma come riconoscere l’anguria davvero gustosa? Ebbene, il suono della bontà è esattamente opposto a come ce lo si aspetterebbe: debole, sordo, cupo. Se invece, percuotendolo, il frutto emette un suono netto, piacevole e forte, allora… non è buono.
Giorgio Donegani