Eccoli lì, in ordine sparso sulla rossa tovaglia del Natale: pistacchi, noci, nocciole, mandorle, arachidi… quelli che potremmo definire i “paria del cibo”. Esclusi dalle “caste” merceologiche, si raccolgono tutti sotto il termine generico di “frutta secca”, ambiguo e sbagliato. Ambiguo perché, se chiamiamo “frutta secca” noci e mandorle, come dovremmo chiamare l’uvetta, le albicocche e i fichi essiccati, oppure le prugne, le banane e le mele secche? Ma anche sbagliato, perché nel gruppo della “frutta secca” molti in realtà frutti non sono.
Illustrazione di Libero Gozzini, che dal 2009 è tra i fondatori, nonché docente e consulente, del Mimaster di Milano.
Prendiamo la noce: si mangia secca sì, ma la polpa del frutto (il mallo) la gettiamo e gustiamo il seme. Così come sono semi le mandorle, non molto diverse dai noccioli legnosi delle pesche o delle albicocche. E l’arachide? È anch’essa un seme, di un legume questa volta. E allora perché non chiamare noci & Co. “semi secchi”? Non andrebbe ancora bene: le castagne e le nocciole, per esempio, sono davvero dei frutti, anche se diversi da mele e fichi…
Un’ambiguità che si tenta di superare ricorrendo al termine “frutta a guscio”, ma che qualcuno, forse di maggior buonsenso, propone semplicemente di ignorare: che sia “frutta secca”, “a guscio” oppure “oleosa” (la chiamano anche così), è comunque buona e vale la pena di gustarla per quello che è e non per come si chiama.
Tanto più che, considerando lo spirito di fratellanza che a Natale ci vuole tutti vicini, non dispiace l’idea di una sorta di “armata Brancaleone” della frutta, che tragga maggior forza proprio dalla diversa natura dei suoi componenti. Anzi, a questo punto riabilitiamo anche il termine “frutta secca”, accogliendo l’uva passa a fianco delle mandorle, i fichi secchi vicini alle nocciole, in barba ai rigidi confini delle tassonomie botaniche e delle classificazioni merceologiche.
Diversi è bello, sembrano ricordarci le noci avvolte dai datteri in un goloso abbraccio, e se proprio vogliamo trovare un denominatore comune, allora che sia il più simpatico: la frutta secca è quella che… porta fortuna! Del resto ci erano già arrivati i Romani, che nell’antichità usavano far piovere noci sugli sposi (poveretti) in segno di buon augurio; ma oggi è soprattutto a Natale che si esprime la tradizione che vuole la frutta secca di buon auspicio.
E se i Francesi, con la loro smania di strafare, raccomandano di mangiarne 13 tipi diversi, a noi ne bastano 7: noci, nocciole, arachidi, uvetta, mandorle, fichi e datteri.
Giorgio Donegani