Sono quelle che investono le produzioni agricole italiane degli ultimi anni, che sempre più spesso stupiscono e vincono premi.
Le ragioni sono diverse: indubbiamente la tutela ambientale, economica e sociale; certamente la sicurezza alimentare; spesso il crescente interesse per la nutraceutica (la disciplina che studia componenti e principi attivi dei cibi); il semplice desiderio di innovare gusti, aspetti, consistenze.
I risultati che tutti possiamo osservare sono tantissimi, disparati, certamente originali e con effetti positivi.
Sebastiano Tundo, ad esempio, 32 anni, ha scommesso sulla filiera italiana della quinoa, cereale andino ma negli ultimi anni molto consumato anche in Europa. La sua azienda, QUIN, la Filiera Italiana della Quinoa, nata 4 anni fa, è interamente dedicata alla produzione e alla trasformazione della quinoa biologica. Come racconta, ha selezionato personalmente il tipo di seme più adatto ai suoi terreni, puntando su tecniche colturali a basso impatto ambientale, attente a risparmio idrico, rispetto della biodiversità e del lavoro dell’uomo, minor inquinamento, con l’obiettivo di creare un prodotto sostenibile e di alta qualità; e coltiva una varietà a basso contenuto di saponine, la sostanza amara che ricopre naturalmente la maggior parte dei chicchi coltivati all’estero. Questo gli permette di non effettuare la decorticazione, e quindi di avere come ingrediente di partenza un seme integrale, più ricco di vitamine, minerali e fibre, dal quale ottiene prodotti particolari: oltre a farine e chicchi, fiocchi, crackers, gallette, paste e, novità, birra. Una Ale e una IPA (Ale è sinonimo di birra ad alta fermentazione, IPA è l’acronimo di India Pale Ale, cioè di colore “pallido”, ndr).
Quello della birra artigianale è un settore, in Italia, sempre più interessante per qualità e originalità. Un progetto particolare, di economia circolare, è stato portato avanti da Emanuela Laurenzi, che ha dato vita alla prima birra alle foglie d’ulivo. Dopo essere state potate, invece di diventare scarto, vengono riutilizzate per dar vita a un prodotto ricco di polifenoli, meno amaro, con sentori di crosta di pane, crema pasticcera, agrumi in maturazione, biscotto e note appena accennate di tè verde, cola e foglia di tabacco. Tutte le materie prime sono autoprodotte, l’energia impiegata nelle fasi di trasformazione deriva al 100% da fonti rinnovabili, le trebbie vengono cedute a un’azienda agricola locale, che le utilizza per il pasto dei bovini.
Sul riutilizzo delle trebbie, avevamo raccontato alcuni numeri fa un progetto particolare, Ley: l’azienda Circular Food da queste ricava una particolare farina.
Proprio le farine e i prodotti da forno sono certamente uno dei temi caldi. Nel 2019 avevamo dedicato un articolo a una piadina “funzionale”, cioè preparata con l’addizione di ingredienti speciali – i betaglucani dell’avena – capace di tenere sotto controllo i livelli di colesterolo e glucosio nel sangue. Con la stessa finalità, cioè combattere il colesterolo cattivo, Angela Saba realizza un pecorino sperimentale. Proprietaria di un’azienda che alleva ovini per la produzione di latte e formaggi, casara nota e responsabile del Presidio del Pecorino a latte crudo della Maremma, Angela trasforma il suo latte senza l’ausilio di fermenti chimici, e dopo lunghe ricerche svolte in collaborazione con l’Università di Pisa e guidate dall’obiettivo di creare un prodotto salutare, ha dato vita a un pecorino di nicchia. La qualità e la peculiarità del formaggio si devono all’alimentazione delle pecore: naturale, bilanciata, in grado di fornire il giusto apporto di sostanze favorevoli alla loro attività metabolica, basata su colture ricche di acidi grassi polinsaturi della famiglia degli omega 3; ma anche innovativa, grazie all’introduzione di un ingrediente capace di accrescere la percentuale degli acidi grassi polinsaturi presenti nel latte: il lino estruso, reso digeribile per gli animali.
Restando nel mondo della zootecnia, un altro progetto interessante è certamente quello della Cooperativa del Maiale Nero d’Aspromonte, nata grazie a 24 allevatori calabresi, che si sono uniti per tutelare, recuperare e “migliorare” una razza suina autoctona a rischio d’estinzione. Quasi tutti under 30, sono riusciti, in poco tempo, a ripopolare la razza (da 100 capi a 4.000), anche grazie alla collaborazione avviata con l’Università di Reggio Calabria, che ha reso possibile la messa a punto di un’innovativa alimentazione a base di scarti di bergamotto, integrata da ghiande e pascolo. Non solo; hanno anche avuto la brillante idea di avviare una produzione di salumi di nicchia. Gli allevamenti allo stato brado o semibrado, le tecniche di allevamento e le caratteristiche genetiche dell’animale assicurano l’ottenimento di una carne di ottima qualità, ricca di acidi grassi insaturi, in particolare della serie omega 3, e un buon contenuto di antiossidanti naturali; e, altrettanto importante in termini di sostenibilità economica, il prodotto trasformato, ad alto valore aggiunto, garantisce agli allevatori una giusta fonte di reddito.
Marta Pietroboni