ALDO CAZZULLO

Giornalista prolifico e scrittore di non comune versatilità ed efficacia, attualmente condivide con i lettori uno nuovo spazio di dialogo: la pagina delle lettere Lo dico al Corriere.

È stata un’intervista “facile”: molto ricca, tanto che potrei stenderla in 2 puntate. Gli lascio subito la parola.

 

 

 

La prima cosa che mi hai detto è che sei langarolo.

Sono nato ad Alba da 4 nonni e 8 bisnonni, tutti langaroli; la mamma da ragazza lavorava nella macelleria del padre, nonno Aldo. Mi hanno trasmesso la religione del lavoro. Le langhe sono una terra misteriosa: il tartufo di Alba, i grandi vini, la Nutella Ferrero, imprenditori come Farinetti, Ceretto… Angelo Gaja, vignaiolo famoso, diceva che la riuscita era il contrappasso della disperazione, la “malora” raccontata da Beppe Fenoglio nel romanzo che inizia così: “Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra”. Paese di giocatori d’azzardo e di suicidi, di afflizione ma anche di vitalità e dinamismo. Con l’impegno e il lavoro si è trasformata in un territorio ricco. Però è anche un posto da cui, dopo che hai mangiato e bevuto benissimo, si va via. Io stesso sono andato via: prima a Torino, poi a Milano, poi a Roma.

 

Scrivi influenzato da qualcuno?

Mi è sempre piaciuto molto. In prima elementare componevo poesie. La maestra costringeva i miei compagni di scuola a impararle a memoria; poi loro mi aspettavano fuori per picchiarmi, e facevano bene perché erano bruttissime. In prosa è andata meglio. La dimensione che sento più mia è quella del reportage: andare in un posto, parlare con la gente e scrivere.

 

Quale argomento t’interessa in particolare?

L’uomo. Siamo al mondo per cercare di capire l’animo umano. Poi, su alcuni temi sono più competente e su altri meno. Non si può sapere tutto di tutto. Bisogna andare in giro, parlare con le persone; stare poco sui social e molto per strada. I confini del mondo non coincidono con quelli della nostra testa. Oggi le opinioni sono tutto e i fatti non sono nulla. Io penso che i fatti siano più importanti delle opinioni; bisogna chinarsi sul solco delle vite quotidiane e cercare di raccontarle.

 

Carta o web?

Comunicazioni molto diverse. Il web ha un suo linguaggio e tempi di fruizione molto bassi; ci muoviamo ancora tutti in una terra incognita. Dobbiamo difendere la carta con le unghie e coi denti; però, nello stesso tempo, dobbiamo cercare di dare ai giovani dei prodotti per loro: articoli più brevi e magari approfondimenti più lunghi, usando molto i video… Bisogna sperimentare, dialogare. Dare un’informazione di qualità, verificata, approfondita, ha un costo: se vuoi giornalisti bravi, devi spendere, mandarli in giro… L’informazione non è gratis. Il problema è che i nostri contenuti vengono rubati dai giganti della rete, che se li prendono senza pagare, rastrellano la pubblicità ed evadono le tasse.

 

Una giornata tipo.

In realtà non esiste. Vivo a Roma, ma è solo una base da cui mi muovo. Non sono un mattiniero: mi prendo il mio tempo per leggere i giornali, poi vado in giro magari per un’intervista, leggo la posta (la pagina delle lettere del Corriere ne riceve circa 300 al giorno); poi si sceglie quella a cui rispondere. Insomma, è un lavoro che ha tante sfaccettature. La stesura dei libri richiede molto tempo, perché li scrivi in 2 mesi però li pensi per anni: le idee le rimugini, accumuli materiale, prendi appunti. Io ho sempre cercato di lavorare sull’identità italiana: Risorgimento e unità nazionale, Prima Guerra Mondiale, Resistenza.

 

Hai successo e credito, ma ti è capitato di pensare: non sono più un ragazzo?

Si, questa cosa è successa verso i 45 anni, quando ti rendi conto di non essere immortale, che devi morire. Quando senti che stai andando vero il meno e non verso il più, scatta un po’ di crisi. Ed è una crisi collettiva, perché non è solo un fatto generazionale. L’Italia ormai da anni è un Paese che sta andando verso il meno. Nel ’48 gli italiani erano molto più poveri di adesso ma avevano la sensazione che si andasse verso il più. Renzo Piano mi ha raccontato che ogni giorno il cibo era più gustoso, la mamma era più di buon umore, le strade erano più pulite. Adesso proviamo la sensazione opposta. Abbiamo l’idea che le cose stanno andando peggio.

 

Per concludere, parliamo di cibo. Che posto ha nella tua vita?

Molto importante, anche troppo. Dovessi pensarmi in un girone del Purgatorio, mi metterei tra i golosi. Ho sempre avuto un po’ di pancetta. A casa nostra si mangiava un sacco di carne con il nonno macellaio, ma il filetto e la bistecca erano per i clienti. Noi mangiavamo la trippa, le lasagne con il sanguinaccio di maiale, il quinto quarto. Da ragazzo avevo una passione per i ristoranti stellati; adesso invece mi piace di più la trattoria, la ricetta tipica, la materia prima.

 

Ti capita di fare turismo in base ai prodotti che il territorio offre?

Si, spessissimo. Per esempio, adoro la Toscana perché ha prodotti semplici, genuini, pane sciocco, olio, vino; o l’Emilia con i ravioli di ricotta ed erbette, o Venezia con le schie. O Napoli, perché altrove la pizza e il caffè non sono così buoni.

 

Chissà cosa mangia in Africa, dove ama viaggiare con i figli. Glielo chiederò la prossima volta.

Paola Chessa Pietroboni

direzione@cibiexpo.it

 

 

 

 

I libri di cui mi ha parlato

Viva l’Italia! su Risorgimento e unità nazionale, 2010; Basta piangere! sui suoi anni di formazione, 2013; La guerra dei nostri nonni, 2014; del 2015 Possa il mio sangue servire, dal titolo di una lettera di un condannato a morte della Resistenza; Le donne erediteranno la terra, 2016; Giuro che non avrò più fame sull’Italia della Ricostruzione, 2018; A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l’Italia, 2020; Le italiane. Il Paese salvato dalle donne, 2021; Il posto degli uomini. Dante in Purgatorio dove andremo tutti, 2021.

 

 

 

 

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