Sembrano due mondi lontanissimi. Uno con radici antiche, tangibile, concreto; l’altro virtuale e immersivo, ancora troppo nuovo per convincere tutti della sua validità.
Eppure, il metaverso fa già parte della nostra vita. È un mondo digitale a cui si accede tramite speciali visori per vivere esperienze simulate: incontri, viaggi, condivisione di oggetti…
Ma sono compatibili metaverso e agricoltura? La digitalizzazione, il processo di trasformazione di un’immagine, di un suono, di un documento in un formato digitale, interpretabile da un computer, è una sfida che obbliga ad acquisire e gestire nuove conoscenze (tecniche, tecnologiche, di processo). Ma le aziende agricole gestite da under 40 sono in Italia meno del 10% del totale. Senz’altro le più dinamiche, hanno un livello di digitalizzazione doppio rispetto a quelle dei colleghi anziani (33,6% vs 14%). Le prime iniziano a capire quali opportunità può generare la realtà immersiva, come il metaverso, che può costituire un’occasione per scoprire la storia di un marchio, di una cantina, per scegliere le materie prime, per conoscere la provenienza delle nostre eccellenze enogastronomiche – per esempio, il Consorzio del Prosciutto di San Daniele ha già sperimentato questa tecnologia per raccontare i suoi prodotti – ma sono percentualmente ancora poche.
Si deve investire nella formazione. Tanti coltivatori oggi non riescono a comprendere i dati forniti dalle mappe e dalle macchine agricole. E non dimentichiamo il digital divide (cioè il divario digitale): chi abita nelle zone interne ha grossi problemi anche per connettersi a Internet, non parliamo dell’utilizzo delle tecnologie 4.0. Si sta lavorando e investendo, ma spesso manca l’ultimo miglio, cioè non esiste ancora quella parte di infrastruttura che porta Internet e l’alta velocità all’interno delle abitazioni e delle aziende agricole. Senza poter utilizzare la moderna tecnologia dell’informazione è impraticabile fare agricoltura di precisione, ossia digitalizzare la propria azienda e automatizzare determinate attività. È un handicap: con applicazioni di smart farming si possono diminuire i costi, aumentare le rese e ridurre al minimo il lavoro in azienda con l’ausilio di sensori, tecnologia satellitare e sistemi integrati.
L’impegno odierno è allora quello di accompagnare gli agricoltori nel processo di transizione ecologica ma anche, e soprattutto, digitale, perché per diventare più efficienti e affrontare le complesse sfide del prossimo futuro sarà necessario avere familiarità con le nuove tecnologie.
Paola Chessa Pietroboni