Gli inventori sono due Italiani, Arturo Vittori e Andrea Vogler dell’Architecture and Vision con il sostegno del Centro Italiano di Cultura di Addis Abeba e la EiABC (Ethiopian Institute of Architecture, Building Construction and City Development).
Il progetto denominato Warka Water, è rivolto alle popolazioni rurali dei paesi in via di sviluppo, dove le condizioni infrastrutturali ed igieniche rendono l’accesso all’acqua potabile estremamente difficile.
Il nome scelto per il progetto, deriva dalla lingua etiope ed identifica un grande albero di fico, che nella tradizione è simbolo di fecondità e generosità; allo stesso tempo nella cultura pastorale etiope, designa il luogo di aggregazione e istruzione della comunità.
Il sistema trae altresì ispirazione dal piccolo coleottero Namib, copiando le sue strategie di adattamento al clima. Il piccolo insetto raccoglie l’acqua del deserto facendo condensare l’umidità sul suo addome, dove si trasforma in piccole gocce, che scivolando sul dorso raggiungono la bocca.
La struttura è alta circa dieci metri, pesa poco, appena 60 chili ed è in grado di raccogliere la rugiada che si forma durante la notte producendo 90/100 litri d’acqua al giorno.
Il progetto si basa su un semplice principio naturale (la condensazione dell’aria che produce acqua, sfruttando l’escursione termica tra il giorno e la notte), che in alcune aree del mondo, come l’ Africa, è molto accentuata.
E facile da costruire (quattro uomini lo montano in circa 10 giorni), usa materiali ecologici e facilmente reperibili (giunchi e nylon) e quindi costa poco (circa 400 dollari).
Il basso costo del ciascun Warka Water e considerando che può funzionare anche nel deserto, rappresenta una soluzione per milioni di persone in Africa e non solo, che soffrono per il mancato accesso all’acqua potabile.
Ma il basso costo non lo rende interessante per le aziende private, per cui ci si è affidati alla rete tramite il crowdfunding (finanziamento collettivoovvero microfinanziamento dal basso): servono circa 150.000 dollari per consentire il passaggio da progetto a proposta realizzabile.
Se andasse in porto, si potrebbe davvero rendere migliore la vita delle popolazioni locali, evitando lunghi spostamenti giornalieri per reperire acqua potabile, assicurando a tutti la quantità giusta di acqua, pura e scevra da contaminazioni.
Da non sottovalutare il ruolo delle piccole comunità locali che provvederebbero alla costruzione, gestione e manutenzione della struttura, in una parola: l’autosufficienza!
Fonte: L’officina dell’ambiente