VIVA LE DIFFERENZE!

Dopo migliaia di anni di selezione, sia naturale sia indotta dall’uomo, oggi esistono decine di razze bovine diverse. Se la prima domesticazione è avvenuta in tempi preistorici in una area circoscritta, la cosiddetta “mezzaluna fertile”, compresa tra il Mar Rosso e il Golfo Persico, nel corso dei successivi 10mila anni, seguendo l’uomo nelle migrazioni, nei commerci, nelle spedizioni militari, gli animali si sono adattati a vivere in ambienti molto diversi, da zone molto fredde a zone calde e umide o addirittura desertiche. Questa riserva di biodiversità oggi è in pericolo: gli ultimi dati della FAO segnalano che una razza su 10 si è estinta, e una su 3 è a rischio.
Abbiamo chiesto a Paolo Ajmone Marsan, docente di Miglioramento genetico animale alla facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica a Piacenza, perché questa tendenza è da contrastare.

 

 

bovinas

 

 

P.A.M. Mantenere in vita le piccole razze locali che si sono sviluppate in ambienti particolari vuol dire salvare delle preziose riserve di geni che possono rivelarsi utilissimi per l’adattamento e quindi la sopravvivenza. Se le perdiamo non le recuperiamo più. Per esempio, in una razza caraibica è stata scoperta una mutazione che dà resistenza al caldo. Gli animali non solo hanno un pelo molto corto, cosa che li rende facilmente riconoscibili, ma la stessa mutazione ha effetto su una serie di parametri morfologici e fisiologici, per esempio sul numero delle ghiandole sudoripare.  Oggi, con i cambiamenti climatici in atto e l’aumento della temperatura del pianeta, è particolarmente importante riuscire a selezionare animali capaci di adattarsi alle condizioni ambientali. Per esempio le nostre vacche da latte soffrono molto il caldo, tant’è che in estate vanno sotto stress. E questo determina oltre al loro malessere, un netto calo di produzione.  

Gli Americani, che si erano accorti già diversi anni fa della mutazione che dà resistenza al caldo, nell’Università della Florida hanno fatto un esperimento di “introgressione” tra la Senepol, la muccca caraibica, e la Frisona, una delle razze più produttive, dimostrando che effettivamente anche la Frisona può essere resa più resistente al caldo. Quindi mentre in giornate temperate le Frisone cosiddette “slick” e le Frisone normali producono la stessa quantità di latte, in caso di giornate calde le Frisone slick stanno benissimo, le Frisone normali invece abbassano molto la produzione. Obiettivo raggiunto dunque.

 

P.A.M. Questa tecnologia ha due potenzialità fortissime: da un lato permette di ottenere i geni per la resistenza al calore (e in futuro alle malattie, ai parassiti…), insomma per tutta una serie di caratteri che sarebbe interessante trasferire nelle razze industriali, quelle che di fatto sfameranno il mondo. Ma al contempo si potrebbe attivare il processo inverso, inserendo nelle piccole razze locali mutazioni che ne rendano l’allevamento economicamente sostenibile. Se rappresentiamo il genoma come una serie di lettere, con queste tecnologie di Genome Editing, è possibile cambiare nell’intera sequenza una singola lettera. Una mutazione in una singola lettera di un gene può modificare una funzione, per esempio l’adattamento al calore.

Mentre gli Americani ci hanno messo diversi anni per produrre la mutazione dell’adattamento al caldo nella Frisona, adesso è possibile portarla in qualsiasi altra razza in modo molto veloce e preciso. Si cambia solo quella lettera. Se ne deduce che bisogna procedere unendo conservazione della biodiversità e impiego delle tecnologie.
Nel prossimo futuro l’obiettivo della ricerca è proseguire lo studio delle razze locali e dei geni di adattamento, applicando anche le nuove tecnologie di analisi del DNA che stanno progredendo a velocità vertiginosa. L’applicazione di questa ricerca sarà possibile anche nei Paesi poveri?

 

P.A.M. La scoperta dei geni è ancora abbastanza costosa, ma ci sono molti progetti di collaborazione tra Paesi del nord e del sud del mondo per studiare le razze locali in Asia e in Africa, dove c’è una biodiversità imparagonabile con quella Europea. L’applicazione poi di questa tecnologia è a bassissimo costo, per cui sarà applicabile ovunque.

 

Vede qualche controindicazione in queste procedure?

 

P.A.M. Si tratta di uno strumento estremamente potente. Per cui a mano a mano che si sale sulla scala evolutiva ci sono implicazioni etiche, soprattutto se si pensa che questa tecnologia può essere applicata anche all’uomo. Per questo deve essere discussa con la società civile già per l’utilizzo su piante e animali. So che ultimamente negli Stati Uniti è stata accettata come tecnologia che non produce OGM. Anche se in migliaia di lavori scientifici fatti seriamente sugli OGM non si sono trovati pericoli per la salute dell’uomo o per l’ambiente.  

 

Perché in questo caso non si parla di organismi geneticamente modificati?

 

P.A.M. Perché è un’operazione totalmente analoga a una mutazione naturale. L’uomo, dalla domesticazione in avanti, ha iniziato a catturare delle mutazioni che avvengono normalmente. Per esempio gli animali che non hanno le corna sono l’esito di mutazioni avvenute naturalmente e che l’uomo poi ha catturato. Con il Genome Editing non si fa altro che copiare la natura, cioè si trova una mutazione che dà una certa caratteristica, e la si copia all’interno di altri animali della stessa specie anche se di razze diverse. Ci sarà senza dubbio qualcuno contrario ma probabilmente in questo caso ci saranno meno opposizioni rispetto agli OGM.

 

Paola Chessa Pietroboni
direzione@cibiexpo.it

 

 

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