UVA MONTONICO

Largamente diffusa in passato nel centro Italia, è oggi coltivata sostanzialmente in Abruzzo, in due comuni della provincia di Teramo, Bisenti e Cermignano. Oggi andiamo a Bisenti.

 

 

Le radici dell’uva Montonico affondano in un tempo lontano diversi secoli, tanto che troviamo le prime notizie storiche tra il 1600 e il 1700.  Era diffusa in tutto il centro Italia: in Abruzzo (Chieti, Sulmona, Teramo), ma anche nelle Marche (Macerata e Fermano), fino alla parte più a nord della Puglia, nelle  province di Foggia e di Bari.

 

La storia ce la racconta Francesca Valente, titolare dell’omonima azienda agricola in Bisenti.

Si tratta di un’uva a bacca bianca molto produttiva, il cui maggior impiego non era quello per la vinificazione ma per il consumo come uva da tavola. Degli scritti testimoniano che negli anni Cinquanta/Sessanta dalle zone di Bisenti e Cermignano si esportavano oltre 14.000 quintali di uva Montonico verso la Germania. Anche qui era consumata come uva da tavola. Per la popolazione locale rappresentava inoltre una riserva alimentare: i grappoli venivano appesi nelle case e conservati per lungo tempo.

Quindi, tutta l’economia della zona, in particolare del Teramano, girava intorno a quest’uva, anche se non ebbe molto successo la sua trasformazione in vino: è infatti molto difficile da vinificare, complici una buccia molto spessa e un tenore zuccherino particolarmente basso anche a completa maturazione. Per cui, dopo l’epoca fillosserica (la fillossera è un parassita d’importazione che arriva in Europa intorno alla seconda metà del 1800, ndr), la coltivazione del Montonico si è diradata sempre più. Addirittura, inizia una vera e propria azione di espianto, a cui hanno resistito solo poche zone in Abruzzo; le principali: Cermignano e Bisenti in provincia di Teramo. Si tratta di un fenomeno ricorrente nella storia dei vitigni più rari in favore di quelli più popolari e dalla vinificazione più semplice.

 

Non è un caso che l’uva Montonico sia ancora coltivata proprio a Bisenti.

No; mio nonno Ciccillo è stato un attore molto importante nella sua preservazione. Si era accorto subito di quello che stava accadendo; così, per evitare che si espiantassero tutti vigneti di Montonico, fondò una piccola cooperativa agricola che acquistava l’uva dagli agricoltori e la vinificava. Cercava di coinvolgere quanti più giovani possibili e di creare un indotto che preservasse questa coltivazione.

 

Il nonno era molto lungimirante.

Si, quando frequentavo l’università e mi dedicavo agli studi in Economia del sistema agroalimentare, nei libri e nelle lezioni trovavo continuamente riscontro di tutto quello che lui aveva fatto e capivo che non aveva sbagliato nulla!

 

Non è un caso che dopo gli studi torni alle tue radici.

No, sono cresciuta con mio nonno e ne ho vissuto l’amore per i prodotti della sua terra. Così, finita l’università, acquisto l’azienda agricola, partendo da zero: voglio dire zero terreni, non ho alle spalle una storia vinicola da mandare avanti.

Oggi ho 3 ettari di terreno coltivati a Montonico e insegno a scuola (anche mio nonno lo faceva): mi definisco una contadina professoressa.

 

Sei fautrice dell’iscrizione del Montonico come Presidio Slow Food.

La necessità, almeno per me, era mantenere vivo il legame tra la vite e il suo territorio. Ho fatto una segnalazione a Slow Food e ho ottenuto una certificazione di autenticità che mi ha permesso di rivendicare per Bisenti la qualifica di zona di elezione della coltivazione del

Montonico per le peculiari condizioni pedoclimatiche che permettono di schivare molte infestazioni fungine e batteriche, quindi di ridurre anche il numero di trattamenti in vigneto e di raccogliere un’uva veramente pulita da qualsiasi residuo.

Il Presidio riconosce poi anche l’uva da tavola e quella cosiddetta “appesa”: come si è accennato, i grappoli vengono legati nelle case e lasciati appassire per essere consumati nel periodo natalizio.

 

Progetti da segnalare?

Si, grazie ai finanziamenti del GAL (acronimo di Gruppo di Azione Locale, società volute dall’Unione europea per favorire lo sviluppo locale di un’area rurale considerata svantaggiata, ndr) con i produttori di frutti tipici del territorio ci siamo associati in un consorzio e faremo un hub del gusto. Si chiama Consorzio Sopraffino, dal nome del fiume Fino, al di sopra del quale ci troviamo, e ha lo scopo di promuovere e valorizzare la cultura enogastronomica, l’ambiente e i prodotti del territorio della valle del Fino.

 

Ma veniamo al vino.

Il vino che derivava da quest’uva non era amato, complice la sua scarsa dolcezza a fronte dell’elevato grado di acidità. Queste caratteristiche, tuttavia, lo rendono ideale per la spumantizzazione che restituisce un vino minerale e molto beverino, con un basso grado alcolico. Non è un caso che Napoleone avesse chiamato quest’uva le petit champagne.

Due tra le nostre etichette sono di spumanti: un metodo Charmat e, a breve, un metodo Classico 100% da uva Montonico.

Elisa Alciati

elisa.alciati@cibiexpo.it

 

 

 

 

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