Quando si vince un premio alla carriera, ci sono dei motivi. Siamo seduti a un tavolo con Gianmario Artosi, riconosciuto da Solidus (il forum permanente delle associazioni professionali del mondo dell’ospitalità italiano) Professionista dell’Anno 2018. Ci alzeremo quando avremo scoperto che cosa rende eccellente il lavoro di un bartender. Gianmario ha uno stile inappuntabile e un modo di comunicare che rivela la capacità di accogliere anche i clienti più esigenti. Dopo una lunga carriera, convinto dell’importanza dell’etica e della formazione, ha fondato nel 2014, insieme ad altri illustri colleghi, A.B.I Professional – Associazione Barmen Italiani. Ma facciamo un passo indietro.
«Sono nato, professionalmente, oltre 40 anni fa, facendo la scuola alberghiera ad Adria, in provincia di Rovigo. Ancora ragazzino, quando non avevo le idee chiare sul mio futuro, ma affascinato dal mondo dell’ospitalità, ho iniziato a lavorare a Venezia per la Compagnia Italiana Grandi Alberghi, la CIGA, forgiatrice di importanti personaggi dell’ospitalità mondiale, e ho scoperto gli Hotel 5 stelle lusso. Non ho più smesso. Ho sempre accettato nuove sfide per accrescere le mie competenze, lavorando da ultimo 26 anni per la stessa azienda. Ma dal momento che il nostro lavoro ha a che fare con l’ospitalità, ho preteso di non stare solamente dietro il bancone; volevo essere libero di andare incontro all’ospite e mi è stata data carta bianca. Dopo una carriera di oltre 40 anni in giro per il mondo, posso dire che ho avuto ragione. Sono stato un barman innovatore.»
Gli aspetti più importanti del tuo lavoro quali sono?
I miei periodi liberi li ho sempre investiti nella formazione. Credo sia fondamentale. Oggi, nella posizione di “pensionato” freelance, è quello a cui mi dedico. Ritengo di aver acquisito un bagaglio da passare ad altri.
Nell’immaginario collettivo il barman è quello interpretato da Tom Cruise in Cocktail?
Forse, ma quello stesso film è in realtà la dimostrazione che tutto si modifica in fretta. È una professione in continua evoluzione. Dopo i flair bartender – ossia quelli “acrobatici” come Tom Cruise – oggi è il momento dei mixologist, professionisti che si dedicano allo studio del prodotto e dell’alchimia tra i suoi componenti…
La giornata tipo di un barman qual è?
Al banco del bar si svolgono diversi ruoli, che variano anche in base alla tipologia del locale. Ti racconto che cosa fa il barmanager: prende contatto con lo staff, controlla che tutti i servizi programmati siano seguiti, che chi è destinato a coprire un ruolo sia a disposizione, e guida lo staff, prendendo tutti per mano, relazionandosi quotidianamente con la direzione. Spetta a lui la “costruzione” del bar: è il barmanager che, in accordo con l’economo, sceglie cosa acquistare per soddisfare le richieste dei clienti. E non è facile, se si considera che oggi esistono persino gli idrosommelier e le carte delle acque minerali.
La competenza di un barmanager va quindi dal tè ai superalcolici?
Sì, bisogna essere curiosi, consapevoli e informati… è importante saper abbinare il prodotto al consumatore. Nella mia ultima esperienza a Siracusa, ho fatto una bella ricerca con un collega del posto. Volevo capire quali specialità locali avremmo potuto offrire, per fare vivere ai clienti l’esperienza di un’ospitalità tipica. Lavorando con compagni italiani e internazionali, abbiamo trovato gli ingredienti per confezionare il giusto biglietto da visita. Ovviamente, nel momento della scelta del food mi sono confrontato con l’executive chef e ho chiesto anche a lui di essere creativo. Ha reinventato la famosa salade niçoise (insalata nizzarda, ndr), dandole caratteri siciliani: pomodoro nero locale (dal quale s’estrae un magnifico gin) e pesce pescato sul posto. Io ho poi deciso di accompagnarla con un cocktail Martini aromatizzato al citato black tomato…
Ti stai dedicando anche all’analisi sensoriale?
Sì. Per passione mi sono specializzato nei percorsi emozionali e organizzo esperienze sensoriali per studenti e non solo. Voglio far scoprire ai giovani le erbe aromatiche. Oggi i Master Herbalist di grandi aziende e i mixologist hanno una bella responsabilità. L’attualità gira attorno al liquid food – cibo trattato e reso liquido, il cui effetto è sbalorditivo – e più in generale alla ricerca sul prodotto, perché si usano sempre più cocktail home made, cioè fatti in casa. Combinare gli ingredienti non è facile: la sensazione piacevole di un cocktail viene dall’equilibrio.
Che cosa pensi del pairing, la nuova tendenza dell’abbinamento food e drink?
Un’evoluzione geniale. Quando il pairing è realizzato con competenza, rispettando dei canoni, food e drink si valorizzano a vicenda. Ad esempio, io che amo il tè, ho bevuto un tè affumicato abbinato a filetti di aringa o salmone, pure affumicati, trovando il pairing perfetto. Le cose più semplici al mondo sono quelle vincenti. Ripetibili da tutti.
E il premio di Solidus che hai vinto?
Li ringrazio. Ma caratterialmente preferisco far vedere quello che so fare piuttosto che mettermi sul trono…
È un messaggio alle prossime generazioni?
Un buon professionista è quello che persegue gli obiettivi senza presunzione e con curiosità verso il nuovo. Io credo di essere stato premiato perché, nei tanti anni in cui ho lavorato, l’ho fatto con impegno e ho trasmesso quello che ho imparato, con una piccola aggiunta personale di contemporaneità. E non mai esitato a dare fiducia ad altri colleghi aiutandoli a raggiungere i loro obiettivi.
Marta Pietroboni