UN PAESE POVERO DI ZUCCHERI

Importiamo da Francia, Germania e soprattutto da Stati extracomunitari come India e Brasile. La svolta è arrivata nel 2005. In quell’anno l’Unione Europea ha approvato la riforma Ocm (Organizzazione comune di mercato, ndr): nel continente, secondo la Commissione Europea, si produceva troppo zucchero, a un prezzo troppo alto: 18 milioni di tonnellate annue, vendute a una cifra doppia rispetto al prezzo mondiale.

 

 

 

 

Per abbassare i costi e accogliere le richieste dei Paesi produttori extracomunitari, l’Ue ha deciso di ridurre di un terzo la produzione europea, chiudendo gli stabilimenti meno produttivi. Al contempo l’Ue ha smesso di finanziare il settore dello zucchero fornendo cospicui incentivi, come aveva fatto fino a quel momento.

In Italia allora esistevano 19 zuccherifici. Il governo ha lasciato agli industriali la scelta se chiudere o meno gli stabilimenti. La rinuncia avrebbe comportato un consistente indennizzo, circa 40 milioni per ogni zuccherificio chiuso. E così molte aziende hanno optato per la chiusura. Se avessero continuato a produrre, non solo non avrebbero più potuto contare sugli incentivi, ma avrebbero anche dovuto vendere sul mercato lo zucchero a un prezzo dimezzato. Produrre zucchero, insomma, non conveniva più.

 

Eppure il settore saccarifero nel nostro Paese, oltre a essere un’industria centenaria, era anche un comparto fiorente, che assicurava un’ampia occupazione sia in ambito agricolo che industriale. Dopo la riforma il sistema è crollato. Il prezzo della barbabietola è passato da 44 a 26 euro per tonnellata. Inoltre, con la chiusura degli stabilimenti, quasi tutti i campi destinati a barbabietole si sono ritrovati distanti dalle industrie, rendendo economicamente svantaggioso l’approvvigionamento. Per di più, a differenza degli industriali, i bieticoltori hanno ottenuto un contributo minimo per rinunciare alla produzione: solo il 4% del fondo europeo. Con una condizione: da allora, chi rinunciava non poteva coltivare barbabietole per almeno cinque anni.

 

Un altro scopo della riforma era ridurre il prezzo europeo dello zucchero, portandolo da 616 a 404 euro per tonnellata. Tuttavia, a distanza di otto anni, il costo mondiale del saccarosio si era adeguato al vecchio prezzo europeo. «Nel 2013», spiega il professor Canali, docente di Agraria presso l’Università Cattolica di Piacenza, «una tonnellata di zucchero costava circa 650 euro, quindi di più rispetto al 2005. Ne ha pagato le conseguenze l’intero sistema industriale italiano che, per acquistare lo zucchero dall’estero, ogni anno riversa fuori confine 500 milioni di euro».

 

 

Le vittime

 

Nel 2005 la barbabietola in Italia era coltivata su 253mila ettari di terreno agricolo. Dopo 8 anni la stessa coltura era presente solo su 60mila ettari. Tre campi su quattro di barbabietole erano andati perduti.

 

 

 

 

Il danno è stato in primo luogo economico. I cospicui incentivi comunitari alla produzione di bietola da zucchero, infatti, garantivano ai contadini una fonte di reddito sicuro. «Questa coltura», afferma Michele Di Stefano, direttore generale di Anb (Associazione Nazionale Bieticoltori), «aveva un prezzo certo, un pagamento certo e un tempo di pagamento certo». La riforma del 2005 ha sradicato un settore florido, che garantiva agli addetti un fondo prezioso per l’economia domestica. Ricorda l’ex bieticoltore Paolo Fioroni: «Tra i vecchi contadini si diceva: il frumento dà il pane, la barbabietola permette di comprarsi i vestiti».

 

Si è  aggiunta, per i bieticoltori, la beffa di indennizzi minimi per le dismissioni. «Dal fondo europeo», racconta un altro ex bieticoltore, Paolo Nacci, «la mia azienda ha ottenuto 110mila euro: un terzo di quello che prima guadagnava in un anno». Per non parlare dell’ammortamento irrisorio delle macchine, un tempo utilizzate per raccogliere bietole. «Avevo investito», continua Nacci, «circa 400mila euro nell’acquisto dei macchinari. Dopo soli cinque anni ho dovuto rottamarli, ricevendo in cambio appena 3mila euro».

 

Non è andata meglio agli agricoltori che hanno deciso di continuare a produrre barbabietole. L’Italia ha stanziato un fondo di quattro euro per tonnellata, da destinare a chi non abbandonava la coltura. Ma questi soldi  sono stati erogati con lentezza. Solo nel 2012 il ministro delle Politiche agricole Mario Catania ha liquidato 35 degli 86 milioni che spettavano ai bieticoltori.

 

 

I signori dello zucchero

 

All’inizio degli anni Duemila il mercato dello zucchero in Italia era nelle mani delle quattro M: le famiglie Maraldi, Monti, Montesi e Maccaferri. All’ultima fa capo l’unico gruppo sopravvissuto. Oggi Maccaferri guida l’azienda Eridania Sadam, che prima del 2005 gestiva sette zuccherifici, coprendo una quota di mercato saccarifero in Italia pari a circa il 60%. Nei due anni successivi il patron dell’Eridania ha deciso di chiudere sei stabilimenti. La quota annua di zucchero prodotta dall’azienda è passata da 600mila tonnellate a poco più di 150mila.

 

 

 

 

Anche l’impatto occupazionale è stato devastante: 250 dipendenti fissi degli stabilimenti sono stati mandati a casa e in tutta la filiera almeno 2500 persone hanno perso il lavoro. Un settore della nostra industria è andato letteralmente all’aria. Secondo Massimo Maccaferri, «nel 2005 ci fu, da parte di Italia, Spagna e Grecia, un tentativo di fare un blocco di veto nei confronti dell’Europa. Poi la Spagna si tirò indietro. Si preferì così perseguire la logica del minor danno».

 

In realtà altri Stati, come Francia e Germania, hanno gestito meglio di noi l’impatto della riforma. I transalpini hanno chiuso solo uno stabilimento su quattro (passando da 46 a 34 zuccherifici); i tedeschi solo uno su tre (da 42 a 28). Anche la quota di produzione di zucchero nei due Stati è rimasta alta. La Francia, come ricorda la relazione della Corte dei Conti Europea del 2010, ha rinunciato al 16,6%; la Germania al 20,7 (l’Italia, invece, al 67,4%!). La differente risposta si deve certo a una maggiore efficienza degli zuccherifici francesi e tedeschi rispetto a quelli italiani; ma anche a un gioco di contropartite sul tavolo delle politiche agricole continentali.

 

Cosimo Lanzo e Gianluca Veneziani

 

Iscriviti alla nostra newsletter e resta aggiornato
sul mondo del cibo.