Lo abbiamo capito: dopo anni passati a consumare merendine, pasti fast e a ingozzarci (eh sì!) al famoso “all you can eat”, abbiamo ricercato la “naturalità” (sebbene il confine fra ciò che è naturale e ciò che non lo è sia piuttosto sottile), il territorio, il sapore e il profumo della cucina della nonna. Una specie di ritorno al passato, a quando si consumava quello che la nostra terra offriva – non potendo attingere all’avocado toast di oltreoceano.
Non solo sulle nostre tavole: la tendenza a rievocare la tradizione, il richiamo dei prodotti locali, il recupero del rapporto tra produttori e fruitori erano palesi (prima della forzata chiusura) anche nel settore della ristorazione. Sono questi alcuni degli attributi della sostenibilità che potevamo ritrovare al tavolo del ristorante: quantificazione e analisi degli sprechi alimentari e loro recupero, riduzione del prelievo delle risorse, controllo dei consumi idrici, attenzione agli aspetti di gestione del personale e alla sostenibilità economica. Si tratta comunque di interventi sporadici.
Ma ci sono anche progetti di ricerca più sistematici. Il più avanzato in Italia è RS360, iniziativa di Piace Cibo Sano e del centro OPERA dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza che sono arrivati a definire una vera e propria certificazione di sostenibilità basata su 10 punti che il ristoratore deve dimostrare di rispettare: 1) la selezione di prodotti sostenibili, biologici e materie prime provenienti da produzioni certificate; 2) la valorizzazione delle produzioni locali, stagionali e territoriali; 3) l’uso di materiali ecocompatibili, riciclabili, riutilizzabili e biodegradabili; 4) la definizione di menu sostenibili e adatti alla collettività; 5) la lotta allo spreco; 6) l’uso efficiente di acqua e energia; 7) la capacità di fare squadra con il team; 8) l’azione per e con il territorio; 9) la valutazione dell’impatto delle proprie azioni; 10) il lavoro in rete con i colleghi e con la filiera.
Quindi sul menu, insieme al nome del piatto e al costo, in questi ristoranti potremmo trovare riferimenti sulla provenienza delle materie prime e informazioni sull’impatto ambientale del piatto o sulla sua storia. E poi è vero: quando si è ospiti in un ambiente dove vincono cooperazione e gioco di squadra… ci si sente a casa.
Certo, il settore della ristorazione si trova oggi a dover affrontare la grande sfida del Covid-19, e ogni sforzo alla riapertura sarà indirizzato al raggiungimento della sostenibilità economica. A questo hanno riposto interessanti iniziative, che definirei sfaccettature di sostenibilità sociale: ne è un esempio il “Café Solidarité” dell’azienda Alken-Maes, la cui campagna si basa sul principio del “pay it forward”, ovvero si paga in anticipo per un futuro consumo di bevande al fine di sostenere la liquidità dei servizi ristorativi.
Entrano così in gioco i consumatori: il cliente del ristorante può avere un ruolo importantissimo nella conversione del settore a una maggiore sostenibilità, diventando parte attiva nella ottimizzazione e ideazione del servizio stesso, collaborando a programmi di “scienza dei cittadini” (citizen science) volti alla raccolta di informazioni e idee per un miglioramento comune.
Molte delle iniziative già in essere hanno una nuova sfaccettatura, iniziata probabilmente con il passaggio culturale proposto da Slow Food, con una maggiore attenzione alla qualità, all’origine dei prodotti e al legame con il territorio, fino ai programmi TV che hanno dato il via a una maggiore ricercatezza, sia al ristorante sia nelle preparazioni casalinghe. Gli chef stellati sono diventati i nuovi modelli, poi sono nati i food influencer che hanno cavalcato l’evoluzione del “mangia bene e con gusto”.
Possiamo ipotizzare che la pandemia sia il catalizzatore di un cambiamento verso una fruizione più sostenibile degli spazi; il piano milanese per la Fase 2 ha previsto ad esempio un aumento delle zone ciclabili e pedonali in città, dell’utilizzo di e-bike e monopattini, e una trasformazione di aree parcheggio per fare spazio ai tavoli dei ristoranti.
Per una conversione sostenibile in tutti i sensi, il settore ristorativo avrà bisogno di esperti con conoscenze tecniche, ma anche gestionali per conciliare il profitto con qualità e innovazione. Sono sempre di più gli studi che dimostrano come il valore e il piacere percepiti dal consumatore in ristoranti che attuano pratiche sostenibili siano significativi.
I ristoranti che adottano pratiche di sostenibilità alimentare (ad esempio, offrono un maggior numero di piatti a base di verdure, danno informazioni sull’impronta carbonica dei prodotti a menu, utilizzano alimenti biologici e sostituti della carne, si riforniscono di frutti di mare e pesce certificati da pesca sostenibile) offrono ai consumatori un’esperienza di maggiore qualità che essi percepiscono come più utile e più divertente al momento della fruizione del pasto.
Buona fortuna e buon lavoro a tutti ristoratori.
Gloria Luzzani