L’aroma del pane appena sfornato ci regala sempre una piacevolissima sensazione di calore e di bontà, di lavoro onesto e di quiete. E tutto questo perché nella lavorazione del pane, del buon pane, c’è tanto impegno, forza e delicatezza insieme, cura, attesa… Scopriamo qualche caratteristica di questo meraviglioso universo, a partire dagli ingredienti base, farina, acqua, lievito. (Lo facciamo più tranquilli ora che c’è qualche valida alternativa anche per i celiaci).
La farina
È senz’altro l’ingrediente fondamentale, composta da tanti microgranuli di amido, contenenti proteine in quantità diversa secondo la varietà. Le differenze tra le farine dipendono dai chicchi dei cereali e dalla lavorazione a cui vengono sottoposti. In alcune farine la cuticola esterna (crusca o pula) viene eliminata, in altre no, come, per esempio, per quella di frumento integrale, che rimane ricca di fibre, così come la farina di segale, tipica dei Paesi del Nord Europa. La farina 00 è quella più raffinata, ma meno interessante dal punto di vista nutrizionale. La farina 0 è meno lavorata della 00, con una componente di glutine più elevata che incide sia sulla qualità dell’impasto, sia sui tempi di lievitazione (più lunghi). Ci sono anche farine del tipo 1 e 2, corrispondenti a gradi diversi di setacciatura: sono, cioè, meno raffinate.
Le farine sono classificate in forti e deboli: forte è per esempio la farina bianca di grano tenero e duro, che può formare glutine, utile nella lavorazione dell’impasto e nella resa finale del pane che risulterà gonfio e soffice (la più forte è la manitoba); deboli, invece, sono le farine d’avena, di segale, di riso o di grano saraceno perché generano pochissimo o per niente glutine, anche se sono eccezionali dal punto di vista nutrizionale. La forza delle farine è comunemente indicata con W, seguito da alcuni rapporti numerici, fondamentali per i professionisti della panificazione.
L’impasto e la lievitazione
La preparazione dell’impasto è molto delicata. L’impasto “diretto” è oggi quello più diffuso perché richiede tempi di lievitazione più brevi e può sfruttare anche farine “deboli”. A queste vengono aggiunti acqua (si può utilizzare indifferentemente quella del rubinetto o la minerale naturale, purché non sia troppo “povera” di sali minerali), lievito e sale in proporzioni precise. L’impasto “indiretto” necessita invece di una lunga lievitazione e per questo ha bisogno di farine molto forti proprio per far fronte a un tempo di lavorazione complessivamente assai più lungo, ripagato però dalla più alta qualità del risultato finale. C’è anche un altro tipo di impasto, realizzato con il cosiddetto “metodo poolish”, senz’altro il migliore per avere un prodotto di ottima conservabilità, grazie alla maggiore acidità del composto, e anche di alta qualità gustativa: prevede un pre-impasto liquido e circa 12-14 ore di fermentazione, oltre a un ulteriore tempo di lavorazione e di riposo prima della cottura. Davvero un tempo infinito!
La lievitazione è dunque un momento cruciale per la qualità del pane, sia per la sua digeribilità, sia per la conservazione. Il lievito è un microrganismo che si alimenta di zucchero e libera principalmente anidride carbonica e alcol, ma ne sono state classificate circa 160 specie diverse, impiegate in vari ambiti. I più utilizzati in panificazione sono il lievito di birra, il lievito “secco” e quello naturale, detto anche “pasta madre”.
Infine, la temperatura di fermentazione, molto importante per la trasformazione degli zuccheri dell’impasto: intorno ai 25°C con l’80% di umidità sembra essere la condizione ideale.
C’è pane e pane
Secondo l’INSOR (l’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale) in Italia sono stati registrati oltre 200 tipi di pane, determinati da un gran numero di farine, oltre che dai diversi lieviti e dalle modalità di lavorazione dell’impasto. Nelle panetterie e persino nella grande distribuzione sono ormai disponibili tantissime varietà. Ciò che forse conosciamo meno è l’abbinamento più appropriato con le pietanze. A tale proposito è stata addirittura stilata una “Carta del pane” al fine di esaltare al massimo sapori e profumi di pane e companatico. Ecco qualche esempio.
– A colazione, possiamo sbizzarrirci tra panini morbidi al latte, pane integrale a fette, pani diversi di soia, di segale o di mais.
– Negli antipasti la varietà è ancora più ampia, a seconda che il pane debba rappresentare una “base” per salse o altri ingredienti, o fare semplicemente da accompagnamento: nel primo caso opteremo per il pane affettato più o meno rustico a mollica compatta, o le tartine al latte o al burro, anche insaporite con erbe aromatiche e peperoncino, i panini con pomodoro, spinaci e carote; nel secondo caso sceglieremo panini con semi vari, con olive, oppure all’olio e panini mignon assortiti da gustare con qualche fetta di salame…
– Con le carni, se cotte in umido, ideali i pani di pasta dura a mollica compatta. Per le carni rosse meglio pani a crosta soffice come biove e ciambella. Per le carni bianche pani croccanti come il francesino o la ciabatta, ma anche panini al cumino o al finocchio. Per le grigliate, il pane pugliese o toscano, gli sfilatini francesi, oltre che il pane all’olio. Con i carpacci, ancora il pugliese, il pane di segale e finocchio, il pane integrale affettato caldo.
– Per i paté varietà diverse, ma affettate: dal filone francese, al pane alle cipolle, al latte o al malto, anche alla soia.
– Con le verdure occorre distinguere tra cotte e crude: in generale pane casereccio regionale se crude, michette, tartine all’olio, panini di riso, modenesi piccoli o sfilatini francesi se cotte.
La lista è ancora lunghissima: parleremo in un prossimo articolo dell’abbinamento alle uova, alla cacciagione e ai formaggi.
E se il pane avanza? Trasformiamolo in dolce!
Carmen Rando