NON SOLO GRAPPA

La linea del vino è un’immaginaria spaccatura che corre dal nord della Francia fino alle propaggini settentrionali della Romania, passando per le alpi italo-austriache. Sotto la linea, c’è chi fermenta l’uva e ama i liquori, soprattutto di erbe: genepy, timo, centerbe e arquebuse, alcuni fra i tanti capolavori italiani del genere. Sopra la linea si fermentano i cereali; al calice si preferisce il boccale e i fuochi scaldano gli alambicchi delle distillerie (e più in su c’è anche la linea della vodka).

 

 

 

 

Gli anglofoni le chiamano le alcohol belts e potremmo leggere in questa popolare divisione il calco degli scontri tra le grandi civiltà del passato europeo, i mediterranei greco-latini del vino separati dai gallo-germanici della birra lungo una linea che non si discosta poi molto dal limes Romano dei tempi di Tito (Britannia esclusa). Più realisticamente, rispecchia l’abilità delle popolazioni eurasiatiche nel trovare la via migliore per rendere l’alcol piacevole al palato con le materie prime disponibili sul posto.

 

 

L’Italia come la Scozia?

 

Solo di recente assistiamo a notevoli contaminazioni anche in Italia, storica patria della vite e del digestivo dopo i pasti: l’anno scorso il valore del mercato della birra per il Bel Paese ha raggiunto per la prima volta il miliardo di euro, con un consumo pro capite medio di 32 litri (per il vino nel 2018 erano 35 litri a testa).

Ma l’ultima interessante “contaminazione” ha fatto la sua comparsa nel panorama dei superalcolici. Si chiama Puni, come il torrente che attraversa la val Venosta (BZ) e costituisce dal 2010 l’unico esempio di distilleria italiana di whisky su modello scozzese.

 

 

Foto da www.puni.com.

 

 

La distilleria ha lanciato nel 2015 la sua linea “nazionale”: un whisky di malto che utilizza orzo, segale e frumento. Lo stabilimento di Glorenza ospita impianti progettati a Rhotes in Scozia e la formazione è avvenuta grazie a consulenti scozzesi. Il malto ha un’impronta italiana perché si usa una piccola percentuale di segale locale di montagna e l’invecchiamento del whisky avviene in bunker militari della Seconda Guerra Mondiale.

 

Nel 2017 l’autorevolissima Whisky Bible firmata da Jim Murray assegnava 95 punti su 100 al Puni Alba segnando l’ingresso della distilleria Puni tra i nomi autorevoli in fatto di whisky.

 

Un giorno anche l’Italia svilupperà la sua fama o il whisky Puni rimarrà solo un isolato esempio di eccellenza?

 

 

Alessandro Caviglione

alessandro.caviglione@cibiexpo.it

 

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