MINERVA E ATHENA

Come abbiamo raccontato nel precedente numero di CiBi, Carmen Giordano lavora al dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano. È la coordinatrice dell’impegnativo e stimolante progetto MINERVA, che ha come sede operativa i laboratori Minerva e Athena. In Minerva lavorano con le cellule umane, in Athena con i batteri.

 

 

 

 

Qual è l’idea alla base del progetto MINERVA?

 

L’idea è stata suggerita da Diego Albani, un neuroscienziato e genetista che si occupa da tempo di Parkinson e Alzheimer e lavora come capo unità all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.

 

Guardando il mio curriculum – laurea in chimica con tesi in microbiologia, dottorato in biomateriali e quindi il lavoro a ingegneria su tecnologia e sistema neurale – ha avuto un’intuizione: perché non sviluppare dei dispositivi che migliorassero la predittività dell’in vitro, permettendo di tracciare le 5 vie biochimiche che sono alla base dell’interconnessione tra il microbiota e il cervello?

 

 

Sembra un progetto affascinante. Quali sono queste 5 vie?

 

Attualmente ne sono state pubblicate: una che interessa il sistema neuroendocrino, una i metaboliti prodotti dal microbiota intestinale, una il sistema immunitario, una il sistema nervoso enterico, una il nervo vago. Noi possiamo studiare quelle in cui sono coinvolte molecole solubili: riusciamo a tracciare ciò che può essere “trasportato”, mentre a oggi non siamo in grado di simulare nella sua complessità il sistema nervoso enterico o il nervo vago.

 

Con questo obiettivo di studio è nato il progetto MINERVA. Abbiamo sviluppato una piattaforma basata su una tecnologia innovativa che si chiama organ-on-a-chip: attraverso dei dispositivi che ospitano colture 3D, cioè colture cellulari avanzate, abbiamo simulato 5 casi di coinvolgimento, nel dialogo intestino-cervello, di sistemi biologici e organi: il microbiota intestinale, l’epitelio intestinale, il sistema immunitario, la barriera emato-encefalica e due modelli di cervello.

 

 

In che modo usate la piattaforma?

 

Mettiamo un ceppo batterico nel dispositivo che simula il microbiota e osserviamo il secretoma –

l’insieme di molecole che il ceppo batterico produce – mentre viene fatto fluire lungo la piattaforma.

 

Questo ci consente di studiare come interagisce con i diversi modelli di organo o sistema biologico che abbiamo citato. Il passo successivo è investigare come le molecole del secretoma agiscono sulle cellule e che modifiche vengono innescate, cosi da individuare le molecole coinvolte nel dialogo fra cervello e intestino.

 

La sfida finale del progetto MINERVA, dopo aver sviluppato i dispositivi, messo a punto tutti i sistemi di colture cellulari d’interesse e realizzato una piattaforma multiorgano in cui 5 dispositivi organ-on-a-chip sono interconnessi, è la sperimentazione: coltiveremo inizialmente ceppi selezionati di microbiota fino ad arrivare, alla fine del progetto, a confrontare l’effetto di tutti i batteri del microbiota fecale proveniente da soggetti sani e da pazienti con il morbo di Alzheimer, per indagare se a livello del cervello, in caso di microbiota patologico, si manifestano i segnali molecolari tipici dell’Alzheimer.

 

 

 

 

Mi dicevi che i laboratori sono nati perché avete vinto un bando…

 

Sì, un bando ERC della Comunità Europea. Per la prima volta, grazie a MINERVA, sono connessi tra loro in un unico dispositivo 5 organi e sono presenti sia batteri sia cellule. Questa compresenza è tecnicamente molto complicata, perché nel caso di contaminazione batterica è compromessa l’intera coltivazione cellulare. Lavorare con la compresenza è esattamente la peculiarità della nostra sperimentazione.

 

Quindi abbiamo messo in funzione due laboratori, guidati da un team multidisciplinare: due biologi e quattro ingegneri. In uno dei due laboratori coltiviamo le cellule e nell’altro i batteri; poi li facciamo interagire nella nostra piattaforma. È un progetto, come si dice in gergo, “high risk high gain” (alto rischio alto risultato). Se la nostra idea funziona, avremo una piattaforma multiorgano che può essere sfruttata per studiare, oltre al microbiota, anche altri tipi di patologie solo cambiando le cellule ospitate.

 

 

Quindi l’idea è mettere la vostra piattaforma a servizio anche dell’esterno.

 

Ci sono già degli accordi di ricerca con centri che abbiamo coinvolto per supportarci sia sulla parte di microbiologia sia su quella di neuroscienze (per esempio, Diego Albani), e un rapporto sinergico con la professoressa Manuela Teresa Raimondi, che ha vinto 3 ERC e si occupa di cellule staminali. Il nostro scopo è aiutare chi fa ricerca – medici, biologi, biotecnologi – fornendo loro dei sistemi di coltura avanzata per poter sviluppare l’in vitro quanto più possibile e studiare i meccanismi che aiutano a capire quali sono le molecole coinvolte in certi processi.

 

L’obiettivo è far usare il nostro dispositivo, ricevendo in cambio dai clinici informazioni su come eventualmente modificarlo. Ad esempio, adesso stiamo creando un ponte con l’Ospedale Gaslini di Genova, perché il neurologo infantile Pasquale Striano, che si occupa di epilessia, ha un forte interesse nella ricerca del rapporto tra dieta e patologia. Alcuni suoi suggerimenti ci hanno permesso di ipotizzare che si possa tarare il sistema a seconda delle richieste.

 

 

Quanto possono durano le sperimentazioni esterne? Come funziona?

 

Dipende dal livello della problematica. Innanzitutto, il progetto MINERVA non è concluso; al momento siamo un po’ oltre la metà: stiamo testando i dispositivi e cominciando ad assemblare i pezzi. La piattaforma dovrebbe essere pronta prima della fine del progetto, prevista per il 30 aprile 2022. Da quel momento in poi vedremo. Ci sono arrivate richieste di utilizzo del dispositivo per “creare” un nuovo organo o di applicazione dell’intera piattaforma ad altri tipi di problema medico.

 

 

 

 

Quindi, una volta finito il progetto, i dispositivi saranno replicabili?

 

I dispositivi saranno sempre adattabili, ma l’ottica è proprio di renderli riproducibili a livello industriale. L’idea è trovare il modo migliore e le tecnologie più agevolmente replicabili, affinché i nostri dispositivi siano facilmente prodotti da un’azienda. Sono tecnologie avanzate, ma stiamo puntando a renderle “disponibili” dal punto di vista del costo e quindi commercializzabili. Stiamo selezionando in quest’ottica materiali e metodi di realizzazione.

 

 

Quali sono i risultati più tempestivi che vi aspettate di raggiungere in relazione a qualche patologia?

 

MINERVA – un progetto che durerà 5 anni – è focalizzato sulla malattia di Alzheimer. Altre patologie che potrebbero essere studiate sono per esempio l’epilessia o il morbo di Parkinson.

 

 

Un messaggio finale per chi legge?

 

Sì, un invito. Andate sul sito dell’ERC, fatto benissimo, e consultate le statistiche dei Paesi finanziati nei bandi; scoprirete con sorpresa che l’Italia è tra il secondo e il quarto posto in Europa. Non poco. Gli italiani sanno fare ricerca: i progetti presentati sono tutti di un certo livello. E guardate il mio curriculum: io ho fatto tantissime esperienze diverse, non avendo mai paura di ricominciare da zero.

 

Servono determinazione e passione. E se qualcuno ti dice “tu non vali”, la risposta deve essere “lo vedremo”, impegnandosi al massimo per dimostrare, in primis a noi stessi, le qualità che sono in ognuno di noi… Non bocciatevi da soli, proponete, applicate! E date un occhio all’European Innovation Council, un nuovo organo che accompagna i ricercatori e i loro progetti fino al mercato, mettendoli a contatto con un partner industriale.

 

Marta Pietroboni

marta.pietroboni@cibiexpo.it

 

 

 

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