Storia della controversia nata intorno al menù di cortesia. Come probabilmente in tanti hanno letto, alcuni mesi fa, si è ri-acceso sul tema un dibattito infuocato.
A distanza di poche settimane, in 2 diversi ristoranti italiani, una modella argentina e un’influencer australiana, a cena con i compagni, hanno ricevuto un menu cieco, cioè senza prezzi, e hanno ritenuto il gesto offensivo e sessista.
Facciamo un passo indietro: quando è nato il menù? Come abbiamo scritto l’anno scorso in un articolo dedicato proprio a questo, la carta con l’elenco dei piatti fa la sua apparizione all’inizio dell’Ottocento quando il servizio alla francese (il quale prevedeva che tutte le portate fossero contemporaneamente disposte in tavola) viene sostituito da quello “alla russa”, che stabilisce invece che le portate vengano messe in tavola separatamente e secondo un preciso ordine, così come ancora accade.
Il primo esempio di menù moderno, stampato e curato da un punto di vista grafico, fu realizzato nel 1855 in onore dell’imperatrice consorte Eugenia, alla corte del marito Napoleone III. Per il primo in lingua italiana si deve invece aspettare il 1910.
Certamente, dalla metà dell’Ottocento a oggi, da un punto di vista sociale, le cose sono cambiate molto. E, senza dubbio, è diversissimo il ruolo della donna nel mondo.
Possiamo però per questo dire che il menù di cortesia sia da buttare? È davvero una “deminutio” riceverlo? È sessismo? Che relazione c’è tra galanteria e sessismo? Si potrebbe probabilmente scrivere un intero saggio solo su questo.
Il menù senza prezzi, in realtà, non è nato per le donne, ma per i commensali, e da qui il nome. Ha la finalità di non far sapere a chi viene invitato a pranzo o a cena quanto pagherà per lui chi lo ospita: una forma di eleganza. E, d’altronde, quando facciamo un regalo, stiamo tutti attenti a coprire il prezzo di ciò che doniamo.
È vero che spesso il menù di cortesia viene dato alle donne senza sapere chi ha invitato, e forse –se questo urta la sensibilità delle generazioni più giovani – i ristoratori potrebbero fare più attenzione nel proporlo.
Ma le domande che restano sono almeno due: come mai ci sentiamo sminuite o addirittura discriminate ricevendo un menù di cortesia? Il valore che ci attribuiamo come persone, come donne, è così legato al nostro potere d’acquisto? E, al di là delle giustissime aspirazioni a libertà, affermazione professionale e parità di trattamento, non vogliamo più nessuna forma di galanteria?
Marta Pietroboni