MARCHESI SI NASCE, CUOCHI SI DIVENTA!

È il padre della cucina italiana o, come scherza lui, il nonno. Gualtiero Marchesi è uno dei cuochi più famosi al mondo perché è riuscito a tirar fuori il gusto delle materie prime e l’anima più nascosta del cibo italiano. Dopo tanti anni è ancora grintoso come un leone, pieno d’energia, pronto a segnare, e insegnare, il cambiamento della cucina. Noi l’abbiamo incontrato a Milano, in via Bonvesin de la Riva 5, dove ha creato la sua Accademia, per formare  cuochi e divulgare i principi dell’alimentazione sana.

 

 

Immagine gentilmente concessa dall’archivio Gualtiero Marchesi

Maestro, come sta la cucina italiana?

 

Direi abbastanza bene, anche se io consiglierei più positività e meno artificiosità, con una maggiore attenzione alla naturalità della materia prima. Ecco, questo è il mio stile. Rispetto e memoria, perché la cucina è sempre memoria. Quando vado in un posto io voglio imprimere nella mente gli odori e i sapori  originali, la forza della semplicità. E questo spesso viene meno.

 

Quali sono i suoi ricordi più cari legati al cibo?

 

I ricordi più cari, a parte quello del minestrone di quando ero bambino, di quando eravamo tutti insieme in campagna, sono legati alle esperienze che ho fatto nella cucina dell’albergo dei miei genitori. Lì lavoravano dei grandi cuochi e io ho visto delle cose straordinarie. Probabilmente loro hanno seminato qualcosa dentro di me che poi è cresciuto e si è raffinato.

 

Lei fa sempre grande attenzione ai termini e so che non ama la parola “chef”…

 

“Chef” da solo significa “capo”, ma non qualifica nulla di specifico. Bisognerebbe dire “chef di cucina”, ma quello è solo il capo e non tutti sono capi. Ecco perché bisogna usare la parola “cuoco”.

 

Bene… dunque in questo momento ci sono tantissimi cuochi in giro… soprattutto in tv, ma sono davvero tutti bravi?

 

Non guardo la tv, quindi non so dire nello specifico, ma quelle rarissime volte che mi è capitato di buttare un occhio mi sono reso conto che tutte queste trasmissioni non fanno altro che illudere. La vera cucina non è quello che si vede, ma è rispetto e conoscenza.

 

E secondo lei rispetto e conoscenza non ci sono?

 

Spesso non ci sono, non c’è amore per la materia prima, ma solo desiderio di mescolare ingredienti e di comporre il piatto. Magari sembro presuntuoso, ma la verità è che col tempo gli strumenti si affinano e ancora di più ora riesco a cogliere delle sfumature e mi rendo conto anche dei miei errori.  Così come riconosco un piatto capolavoro o ricordo una ricetta di cui non avevo capito il vero valore.

 

Per esempio?

 

Lo spaghetto freddo con il caviale. È la valorizzazione reciproca di due elementi. Non perché c’è il caviale, è perché ci sono gli spaghetti che sono neutri e che hanno una consistenza perfetta per esaltare il sapore del caviale, libero così di esprimersi. È il mio piatto preferito.

 

Ma ricorda tutti, tutti, i piatti che ha preparato?

 

No, tante cose non me le ricordo più, anzi, ogni tanto cerco di sforzarmi di recuperare nella memoria qualche procedimento e mi chiedo: “ma come facevo a fare quella cosa lì, era così buona…”. Mi aiutano i filmati e allora magari rispolvero qualcosa, ma spesso lascio andare, perché la cucina è come la musica. È  estro, è evoluzione. Tornare indietro a volte non ha senso.

 

Segue delle ricette?

 

No, ho sempre cercato di fare di testa mia, sempre seguendo la semplicità. Se cerchi questo non hai bisogno di assecondare procedimenti di altri. Poi col tempo gli strumenti si affinano e se hai lavorato bene, ti perfezioni piano piano. Se fai le cose con l’anima, hai tutto.

 

Arrivato a questo punto della carriera, quindi, che cosa pensa delle tecniche e delle preparazioni?

 

Vedo molta volgarità, banalità, poco pensiero. Manca uno stile vero e proprio. Io, invece, penso che alla base di tutto ci debba essere un’idea sulla quale costruire tutta la propria carriera. Insegno questo a chi lavora con me e chi mi segue è un discepolo, chi no… solo allievo o ex-allievo.

 

Quindi… ha più discepoli o allievi?

 

Di solito il discepolo è uno, gli altri sono ex-allievi, perché ognuno ha seguito la sua strada, legittimamente.

 

Quali sono le regole che un cuoco, per essere tale, deve assolutamente seguire?

 

Deve avere tecnica, è la prima cosa, perché quando l’hai imparata poi non sbagli più, qualsiasi cosa tu faccia. Poi deve conoscere le culture alimentari di altri Paesi. Deve avere la divisa sempre perfetta e pulita, deve essere onesto con gli altri e prima di tutto con se stesso e non deve copiare.

 

Ha dovuto assaggiare molti piatti nella sua carriera, c’è stato qualcosa che non ha affatto gradito?

 

Beh sì, ho provato anche delle cose fatte proprio male, ma di solito quelle proprio sgradevoli le riconoscono prima ancora di metterle in bocca, perché si vede già dalla presentazione. Una volta un mio allievo mi chiese di provare un piatto e io gli dissi subito che non andava bene. “Ma provi”, insistette, e io lo feci, ma avevo ragione e lo ammise.

 

Ma davvero i critici culinari ne sanno poi così tanto?

 

Molti non capiscono niente e solo per lo sfizio di criticare dicono cose a caso. Poi è anche vero che, come si dice, la scienza è oggettiva e il gusto è soggettivo. Però ne ho sentite di stupidaggini!

 

Bianca Senatore

 

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