Accostare Leonardo alla cucina è piuttosto arduo. Negli ultimi decenni sono state svolte ricerche in questa direzione, senza tuttavia approdare a risultati concreti. Quanto emerso rimane infatti nell’ambito del “pare che…”, a cominciare dalla tesi che gli attribuisce persino attività professionali in cucina, soprattutto nell’adolescenza. In passato, molti ragazzi durante il periodo degli studi integravano i compensi familiari con prestazioni temporanee in qualità di camerieri o commis di cucina e anche Leonardo potrebbe averlo fatto.
Leonardo da Vinci interpretato da Libero Gozzini
L’unica certezza è che, una volta approdato alla corte degli Sforza a Milano, l’artista si sia occupato soprattutto della parte spettacolare dei grandi banchetti che Ludovico il Moro amava organizzare. Ma prima di addentrarci in questa parte della sua vita, soffermiamoci sulle circostanze che lo portarono a Milano.
Leonardo giunse trentenne nel ducato sforzesco e vi si fermò per circa 17 anni. Può essere quindi considerato un “milanese” a tutti gli effetti; ottenere la cittadinanza però era difficile allora come oggi e per questo, quando lasciò la città, era ancora considerato forestiero, nonostante tutto il lavoro svolto.
A quanto si apprende dalle cronache dell’epoca, il genio di Vinci desiderava lasciare Firenze per cercare sì nuove esperienze ma forse anche perché nella capitale toscana gli artisti famosi e talentuosi erano diventati numerosi e risultava quindi più difficile affermarsi. Milano lo attraeva perché specialmente vocata alle novità, in particolare di carattere tecnico-scientifico, materie nelle quali Leonardo aveva molto da esprimere e da proporre.
Nel 1482 scrisse una lettera di autopresentazione a Ludovico il Moro, reggente del ducato di Milano e tutore del giovane duca effettivo, Gian Galeazzo Sforza, ma la sospirata risposta non arrivò. Per una fortunata combinazione, nel 1483 giunse una provvidenziale commessa dalla Confraternita dell’Immacolata Concezione per la realizzazione della celebre Vergine delle Rocce: Leonardo poté entrare a Milano e farsi conoscere più da vicino dal duca, che lo accolse e lo ospitò nel suo palazzo in piazza Duomo (ora Palazzo Reale). Iniziò così un sodalizio che vide Leonardo impegnato nelle grandi opere celebri in tutto il mondo.
Il rapporto con il cibo
Le biografie concordano nell’attribuire a Leonardo da Vinci una certa avversione per la carne ma è probabile che si trattasse semplicemente del desiderio di vedere tutti gli animali, compresi quelli da cortile, liberi e nel proprio habitat naturale.
Grande attenzione dimostrò invece per quello che si muoveva intorno ai piatti, vale a dire la scenografia del banchetto, la coreografia del servizio e le attrezzature delle cucine.
Il genio leonardesco fu infatti utilizzato da Ludovico il Moro per l’organizzazione delle feste per le quali il ducato di Milano primeggiava, in quanto a sontuosità degli allestimenti e ricchezza delle portate. Nelle cucine sforzesche si alternavano ai fuochi i migliori cuochi dell’epoca, provenienti anche da altre corti. A titolo di esempio vorrei citare i festeggiamenti per il matrimonio tra il giovane duca Gian Galeazzo Sforza e Isabella D’Aragona, celebrato nel gennaio 1489 a Tortona e fortemente voluto da Ludovico il Moro per cementare il legame del ducato con il regno di Napoli e aumentare così il potere degli Sforza: naturalmente la supervisione dell’evento fu affidata a Leonardo, che stese una vera e propria sceneggiatura, così particolareggiata che in tempi più recenti sarebbe stata gradita in egual misura sia da Luchino Visconti sia da Federico Fellini.
I festeggiamenti si tennero in luoghi diversi e durarono, con varie riprese, per circa un anno; ogni volta Leonardo apportava modifiche di cibi e di allestimenti, in sintonia con le stagioni e i luoghi.
L’apoteosi fu la festa conclusiva, nel 1490 nel Castello Sforzesco, detta “Del Paradiso”, per la quale stabilì ogni dettaglio, dalle tavole ai tovagliati, dal vasellame ai piatti, dal modo di servire alle danze di intermezzo tra le diverse portate. Tutto era indicato perfettamente, con scritti e disegni e tutto fu realizzato senza alcuna modifica da parte degli sposi e dallo zio mecenate, tanto era perfetto.
Un solo accenno alle vivande servite può dare un’idea di come si potesse accostare il banchetto a qualcosa di paradisiaco: «… furono serviti agnelli dorati e vitelli inargentati ripieni di pernici e fagiani…»
Il menu era costituito da un poemetto, in lingua volgare, nel quale i piatti erano indicati solo con un titolo relativo agli ingredienti, senza altre aggiunte, mentre nelle pagine era un susseguirsi di riferimenti alla bellezza e alle virtù degli sposi.
Nel 1499, quasi alla fine della sua collaborazione con il duca, al termine del lavoro triennale per il celeberrimo affresco L’ultima Cena, Ludovico il Moro, grato per il lavoro, donò a Leonardo una vigna, in prossimità della Basilica di S. Maria delle Grazie, che testimonia una certa propensione del Maestro alla coltivazione della vite e a qualche libagione. La vigna è stata riscoperta in tempi recenti ed è visitabile in corso Magenta, presso la Casa degli Atellani.
Toni Sàrcina