Dalle pergamene ai QR Code, l’evoluzione del menù racconta la storia della cucina. Prima del piatto stesso, questa carta di identità è un mezzo di comunicazione con cui si veicolano informazioni sugli ingredienti e l’insieme delle pietanze e delle bevande che entrano nella composizione di un pasto. Il termine deriva dal vocabolo francese “menu”, cioè la nota che il maggiordomo compilava ogni giorno per ragguagliare il nobile o il sovrano sulla disponibilità della dispensa.
Ai tempi di Seneca, Petronio e Marziale, la lista delle vivande veniva letta ai commensali dopo aver indicato a tutti il posto a sedere. Aveva anche una grande importanza sociale, poiché serviva a dimostrare la ricchezza del padrone di casa. Le classi più agiate, infatti, intrattenevano e stupivano i propri convitati con banchetti sontuosi, preparati con materie prime provenienti da tutti i territori dell’Impero.
Nella ristorazione settecentesca, il menù su cartoncino non era ancora presente sulle tavole dei clienti ma veniva elencato a voce dallo scalco o, in linea generale, dal responsabile di sala. Un metodo ancora utilizzato in alcune osterie in cui il cameriere illustra ai clienti le proposte del giorno. Fu del diplomatico russo Alexander Kurakin l’idea, ai primi dell’Ottocento, di istituire il “servizio alla russa”, ossia un pranzo o una cena con una successione di pietanze dotata di un senso e un ordine.
Precedentemente si utilizzava il “servizio alla francese”: tutte le portate erano disposte contemporaneamente in tavola e ciascuno prendeva ciò che preferiva, magari partendo dai dolci, a seconda di gusti e appetiti. E da qui è sorta la necessità di informare i commensali sull’ordine del servizio a tavola.
Il primo esempio di menù moderno, stampato e curato da un punto di vista grafico, fu realizzato nel 1855 in onore dell’imperatrice Eugenia – figlia del Conte di Montijo, Grande di Spagna – alla corte del marito Napoleone III. In seguito, diedero il proprio contributo alla creazione di menù anche alcuni artisti, come Gauguin, nel 1899, o altri vari pittori per l’oste Deana, fondatore della trattoria “La Colomba” di Venezia, negli anni Cinquanta del secolo scorso.
Il primo scritto in lingua italiana apparve solo nel 1911, quando i Savoia adottarono l’italiano come lingua ufficiale di Corte senza però abbandonare i piatti della grande cucina di Francia. Un Regio Decreto del 1940 stabilì l’obbligo per i pubblici esercizi di tenere esposte nel locale la licenza, l’autorizzazione e la tariffa dei prezzi.
Man mano che dalla cucina classica, in Italia, si è passati a quella regionale rivisitata, anche i menù sono stati gradualmente rivisti e corretti alla luce dei nuovi criteri qualitativi. Per “cucina di qualità” oggi si intende che le preparazioni siano per lo più realizzate con prodotti stagionali e ove possibile biologici e a chilometro zero. Questo nuovo concetto di ristorazione ha portato anche alla riorganizzazione dei menù, che sono diventati più corti e più snelli e che cambiano durante l’avvicendarsi delle stagioni in funzione dei prodotti freschi che man mano si trovano sul mercato.
Curiosità
La New York Public Library ha messo online il suo catalogo con menù dal 1800 in poi. What’s on the Menu è un enorme database digitale con 40.000 menù di ristoranti, 18.000 che vanno dal 1851 al 2008 e tutti consultabili online in alta risoluzione. La grande biblioteca pubblica statunitense ha chiesto l’aiuto di numerosi volontari per digitalizzare l’enorme mole di documenti antichi, che sono stati inoltre trascritti e archiviati, così da rendere la ricerca sul sito facile e immediata.
“Il caffè e il tè sono citati praticamente su ogni singolo menù collezionato, ma al terzo posto si posizionano i piatti che includono il sedano”. Parla così Rebecca Federman, curatrice del progetto di realizzazione del data base citato. “Abbiamo selezionato alcuni menù italiani, altri esteticamente accattivanti – ci sono veri e propri pezzi d’arte – e quelli più curiosi, come il menù di una cena nell’isola di Alcatraz”.
Menù digitale
Il menù è diventato negli ultimi anni un fondamentale strumento di marketing dei ristoranti. Si parla dunque di “menu design”, che ha lo scopo di rendere la proposta del locale più chiara e appetibile attraverso una composizione grafica mirata. È fruibile da qualunque dispositivo (computer, smartphone, tablet, ecc.) o applicazione, il che semplifica l’inserimento di ordini da parte dei clienti finali.
Il vantaggio del menù digitale è che lo si può personalizzare in tempo reale o in tante lingue differenti. Dopo il Covid-19, i sistemi d’informazione sono drasticamente mutati, con l’utilizzo di strumenti come il QR Code posizionato sul tavolo che, una volta scannerizzato, offre al cliente la visualizzazione automatica della lista dei piatti del ristorante con le loro foto, oltre a dare informazioni ad esempio circa i valori nutrizionali e gli allergeni di ogni pietanza.
Manuela Caracciolo