LA MERENDA

Quando ero piccola, a volte attraversavo il cortile sotto lo sguardo vigile di mia madre che mi seguiva dalla finestra ed entravo in un negozietto di alimentari. Compravo un po’ di prosciutto crudo e la commessa mi regalava una cucchiaiata di mascarpone appena fatto. Tornavo a casa e riempivo con questi preziosi ingredienti un panino al latte: la mia merenda prediletta! Mia sorella preferiva il tuorlo d’uovo sbattuto con lo zucchero e il cacao. Anche quella golosona di mia mamma lo mangiava, con l’aggiunta di un po’ di Marsala!

 

 

 

 

La merenda fa parte del DNA italiano (e non solo), tanto da meritarsi una Giornata Nazionale, che si celebra il 17 settembre.

 

Sin dal dopoguerra la merenda ha fatto capolino nelle giornate dello Stivale; il pane la faceva da padrone, con vari abbinamenti: olio e sale, burro e zucchero, inzuppato nel vino rosso, con il salame, con il formaggio, con il cioccolato… Nei primi anni ‘50 è nato il Mottino, padre fondatore della stirpe delle merendine! Poi ci fu il Buondì e via via la famiglia si allargò con le Girelle, i Saccottini, le Crostatine, le Camille… fino all’ultima generazione di snack, anche refrigerati.

 

Le merendine hanno segnato il passo dell’evoluzione sociale, aiutando le mamme che divenivano man mano più lavoratrici e meno casalinghe, con minor tempo a disposizione per soddisfare le esigenze “spezzafame” dei propri figli. Un’invenzione di certo utile che però, nel corso degli anni, ha soppiantato le merende più tradizionali, caserecce e salutari, sostituendole con alimenti industriali confezionati, troppo zuccherati e con valori nutrizionali poco bilanciati.

 

Oggi pare si vada verso un’attenzione maggiore: i grandi classici stanno tornando di moda (o alcuni non sono mai passati, come pane e Nutella, sul podio sin dalla sua nascita, nel 1964) e le merendine confezionate sono diventate più sane e con apporti nutrizionali più adeguati. Il suo ritrovato ruolo ha spinto l’Istituto Bambino Gesù e l’Unione Italiana Food a stilare il “Manifesto della Merenda”, un programma delle buone pratiche del “piccolo pasto”, per sensibilizzare a una corretta cultura alimentare soprattutto in età pediatrica.

 

Al suo interno 8 parole chiave descrivono la merenda: quotidiana, adeguata, moderata, saziante, varia, dolce, salata, serena. Un menù settimanale con 56 abbinamenti studiati per le varie fasce d’età, dai 4 ai 17 anni, aiuta i genitori a formulare quotidianamente proposte sane e gustose, sia a metà mattina che a metà pomeriggio.

 

Ma si sa, non solo i bambini fanno merenda! Anche agli adulti piace quest’abitudine, nonostante spesso si tratti più di uno snack di metà pomeriggio, consumato di fretta sul posto di lavoro, solo per non arrivare all’ora di cena troppo affamati. I “grandi”, in realtà, hanno spostato il rito “spezzafame” pomeridiano qualche ora più in là, sostituendo la merenda con l’aperitivo.

 

 

 

 

Un tempo, nelle campagne piemontesi, questi due concetti si fondevano: c’era la “marenda sinoira”, che si consumava all’ora del nostro odierno aperitivo. Ma non era certo per bambini. L’origine di quest’usanza risale al 1800 ed era diffusa tra i contadini che nel periodo primaverile ed estivo lavoravano nei campi per molte ore, complice anche il tramonto tardo. Placare la fame verso le 17/18 diveniva quindi indispensabile per ritrovare le energie e lavorare ancora qualche ora, prima di rientrare a casa e consumare la cena.

 

Nel Grande Dizionario piemontese-italiano del 1859, c’è la voce “Marenda:il mangiare fra il desinare e la cena; e la vivanda che si mangia. È riportato anche un proverbio: San Giusep a porta la marenda ant el fassolet, San Michel a porta la marenda an ciel. L’antico detto indicava i mesi in cui si poteva consumare lo spuntino nei campi, da San Giuseppe (fine marzo) a San Michele (fine settembre), in coincidenza con i periodi di maggior lavoro. Si trattava di bocconi freddi, composti da pane, formaggio, salame e qualche sorso di vino

 

Con il miglioramento delle condizioni socioeconomiche, quest’usanza si propagò anche nelle classi borghesi, che erano solite ricevere ospiti nelle ville di campagna e offrire goderecce merende negli estivi pomeriggi domenicali. Il menù non si poteva più contenere in un “fassolet” contadino: ora in tavola facevano bella mostra vitello tonnato, uova sode, antipasti e fritture alla piemontese, frittate, insaccati, insalata russa, acciughe al verde e altre bontà.

 

Con il secolo scorso questa tradizione si diffuse tra tutti i ceti sociali e divenne non più l’occasione per rifocillarsi dalle dure fatiche del lavoro nei campi, bensì un momento conviviale per ritrovarsi in famiglia e tra amici, nel giardino o cortile di casa o anche nei chioschi dei parchi, lungo i fiumi o sotto i pergolati di osterie e bar.

 

Possiamo quindi dire, senza troppo timore di essere smentiti, che la “marenda sinoira” piemontese è la mamma dell’aperitivo moderno! Ma c’è di più, abbiamo anche un papà: il piemontese Gaspare Campari, che ha inventato l’omonimo bitter alcolico. Merenda + Campari: è nato l’aperitivo!

 

Margherita La Francesca

lafrancesca.m@gmail.com

 

 

 

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