LA CUCINA, LUOGO DI EDUCAZIONE E CURA

Cucinare è sempre, per tutti, sinonimo del prendersi cura di se stessi e degli altri. Per le persone con disabilità questa esperienza diventa occasione privilegiata di formazione, insieme di suggestioni che permette lo sviluppo di competenze utili alla vita di ogni giorno, possibilità concreta di affermare il proprio senso di appartenenza e di dare testimonianza dei propri affetti.

 

 

 

 

Ne abbiamo parlato con Francesca Clapis, laureata Educatore Professionale presso l’Università degli Studi di Milano, che attualmente lavora presso il Centro Diurno Disabili (CDD) di Legnano della Fondazione Don Gnocchi, e Giulia Giannasso, laureata in Scienze dell’Educazione presso l’Università Bicocca di Milano, che ha fatto esperienza in diversi servizi formativi fino a trovare la propria strada in una fattoria, La Fattoria dei Semplici Società Cooperativa di Oleggio (in provincia di Novara), un polo zoo-antropologico presso il quale l’educazione si svolge grazie al rapporto con gli animali, con la natura e con il senso di libertà che questo luogo sprigiona.

 

 

Quale significato rappresenta per i vostri ragazzi la realizzazione di un prodotto culinario?

 

Francesca: La realizzazione di un prodotto presuppone la necessità di portare a compimento diversi processi. Si parte dalla ricerca di una ricetta fino alla sua creazione condivisa con il gruppo. Nella disabilità la cucina diventa uno dei canali per creare relazioni, sviluppare autonomie e mostrare le proprie abilità. Diventa quindi un’opportunità per esprimere se stessi, conoscendosi e riconoscendosi nel cambiamento, conquistando consapevolezza attraverso la partecipazione e il coinvolgimento.

 

Giulia: La relazione con se stesso e con l’altro penso sia alla base di ogni prodotto culinario. Basti pensare che un neonato attraverso l’allattamento non riceve solo nutrimento ma molto altro: contatto fisico, accudimento emozionale, scoperta di sensazioni, soddisfazione di bisogni secondari quali amore, appartenenza, sicurezza… Allo stesso modo la natura, nel generare un frutto, ha fatto sì che imparassimo molto di più. L’orto in sé trasmette e insegna, a piccoli e grandi, il concetto più profondo di amore: la cura.

 

 

Le attività culinarie di cui si parla sono utili allo stimolo di capacità puramente manuali oppure anche di competenze di natura differente?

 

Francesca: Il laboratorio culinario è un’occasione per conoscere il mondo, se stessi, le proprie difficoltà e possibilità. È un luogo privilegiato in cui si può con-dividere. L’educatore avvia interventi affinché il soggetto si senta “in relazione” in modi differenti da quelli consolidati. Occorre focalizzare l’attenzione sui soggetti, piuttosto che sugli insegnamenti, valorizzando il processo anziché il prodotto finale e favorendo allo stesso tempo la trasversalità culturale. In questo modo è possibile generare una spirale di evoluzione e arricchimento individuale.

 

 

 

 

Il raggiungimento del risultato delle attività (in cucina e nella fattoria) si realizza dando tempo, senza fretta…

 

Giulia: La tempistica dell’attività è dettata dalla natura stessa. La capacità di attendere, di avere pazienza è il principio cardine. Non usiamo fertilizzanti chimici, ma lasciamo che sia la piccola piantina a dettare il tempo. Sicuramente, lo definirei un tempo che richiede equilibrio, attenzione ai gesti e ai movimenti che si svolgono. Ciò che la natura quotidianamente mostra ai nostri occhi è ciò che noi riproponiamo nel nostro servizio. La peculiarità di ognuno, con il suo bagaglio, con le sue doti, le sue difficoltà e le sue tempistiche sono aspetti, seppur diversi da soggetto a soggetto, da tenere assolutamente in considerazione poiché danno spazio di crescita a ognuno.

 

 

Durante il lockdown non sono mancate le proposte di attività di cucina…

 

Francesca: Noi educatori abbiamo dovuto pensare a qualcosa per rendere protagonisti i nostri ragazzi anche da lontano. Serviva una forza motrice per affrontare il tutto. Abbiamo così iniziato a fare dei tutorial di cucina ponendoci come obiettivi la relazione tra i soggetti della famiglia, la con-divisione di un nuovo modello di vicinanza e la stimolazione a più livelli. Il fine è il benessere altrui tramite un atto educativo di senso, reso “originale” e realizzabile grazie a uno schermo.

 

Giulia: Siamo partiti dall’idea che la cucina è uno spazio neutro, al quale anche i più piccoli con le dovute precauzioni possono accedere. Per tanti la cucina è diventata oltre che un luogo anche un tempo nel quale dedicarsi a curare le fatiche e le difficoltà del momento. È stato uno spazio che ha permesso di dettare le tempistiche di una giornata e di un ascolto condiviso. Così abbiamo deciso di proporre piccole e semplici attività adatte a tutti. Noi educatori siamo dei “tuttofare”, perché in ogni passaggio c’è un pensiero educativo e di senso.

 

Flavio Merlo

flavio.merlo@unicatt.it

 

 

 

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