Una novità nel settore agricolo: una rete d’imprese esempio di collaborazione non solo fra aziende concorrenti ma anche con il mondo della ricerca. Nata cinque anni fa, questa rete opera in Puglia, Sicilia, Basilicata, Marche e Campania e include 20 aziende agricole finanziatrici che si sono impegnate a sostenere un programma di miglioramento genetico, oggi in particolare mirato al futuro dell’uva da tavola italiana. L’obiettivo è realizzare varietà adatte alla coltivazione nelle condizioni mediterranee di suolo e di clima, per arricchire l’offerta sul mercato.
Il progetto è seguito da giovani ricercatori con il supporto di due partner scientifici: Sinagri, spin-off dell’Università degli Studi di Bari, che svolge attività di ricerca applicata e sviluppo sperimentale agroalimentare, e il Centro di ricerca sperimentazione e formazione “Basile Caramia” di Locorotondo, sempre in provincia di Bari. Sinagri ha contribuito alla realizzazione del contratto di rete d’imprese Italian Variety Club (IVC) per l’uva da tavola “apirene”, cioè senza semi.
Primi risultati
Dal 2015 a oggi sono stati raggiunti successi significativi: 100 selezioni interessanti, 8 delle quali avviate alla registrazione da parte dell’UCVV – l’Ufficio Comunitario delle Varietà Vegetali responsabile della gestione del sistema della privativa (i diritti di utilizzazione esclusiva delle invenzioni con la facoltà di ricavarne profitto) – e quindi destinate a diventare nuove tipologie di uva da tavola.
Dal 2019 la rete si è impegnata anche per la costituzione di varietà con caratteri di resistenza alle malattie crittogamiche (mal bianco, peronospora e muffa grigia), inaugurando un nuovo filone che nel 2020 è stato ulteriormente incrementato. La finalità, oltre ad accrescere come si è detto la nostra competitività, è liberare i produttori di uve da tavola senza semi dal peso delle royalty da pagare per i brevetti delle società internazionali di breeding (riproduzione controllata, ndr).
Negli ultimi 20 anni il miglioramento varietale ha permesso di aumentare le produzioni del 25% e di ridurre di un terzo le emissioni di CO2. Ora l’Unione europea deve rimuovere gli ostacoli che ancora frenano le innovazioni: le due NBT (Nuove Tecniche di Breeding) più promettenti sono il genome editing (l’intervento di precisione che consente la correzione mirata di una sequenza di DNA) e la cisgenesi (la tecnica che non utilizza geni eterologi e dà origine a piante uguali a quelle generate da riproduzione naturale).
Paola Chessa Pietroboni