Esistono diverse varietà di riso che si possono accomunare sotto il nome Carnaroli, ma, nel cuore del Parco Regionale Lombardo della Valle del Ticino, alla Riserva San Massimo si produce solo quello autentico, quello più difficile da coltivare e di ottima qualità. Estesa per oltre 600 ettari nella campagna pavese, la Riserva ne mette a disposizione solo 100 per la coltura del riso, sfruttando, così, i campi più fertili.
Il riso San Massimo viene prodotto in un suggestivo ecosistema caratterizzato di una vasta superficie boschiva naturale e fonti di acqua sorgiva.
“Il nostro territorio rappresenta un unicum del paesaggio circostante – racconta Dino Massignani, direttore dell’Azienda – perché vantiamo una biodiversità straordinaria e, per noi, preziosissima. Abbiamo molta acqua che proviene dalle nostre sorgenti all’interno della riserva e che usiamo per irrigare i campi. Proprio l’acqua dà al terreno le sostanze nutrienti di cui necessita il riso. Inoltre, ci sono paludi, molte specie di animali e tanti alberi da frutta. Addirittura – puntualizza – la FAO ha analizzato il terreno e ha trovato più di 700 specie di insetti e di altri organismi che compongono il perfetto equilibrio della catena alimentare e, di conseguenza, della produzione. Proprio per questo, la Riserva è stata riconosciuta dal 2004 Sito di Interesse Comunitario a protezione speciale. Ed è qui che nasce il nostro riso”.
La risiera e la riserva
Il Carnaroli della Riserva San Massimo cresce in campi ancora incontaminati, campi dove viene lasciata crescere l’erba delle ripe e dove vengono tracciati solchi perimetrali di oltre un metro per garantire sempre una riserva d’acqua, vitale per gli animali e i microrganismi del luogo. “Non vengono usati pesticidi – racconta Massignani – e seguiamo i tempi naturali di crescita”. Il Carnaroli della Riserva, infatti, impiega ben 165 giorni per maturare ed essere pronto alla raccolta. “È un tempo lunghissimo rispetto al solito, ma questo ci consente di avere un chicco sano, grande e ricco di sostanze nutrienti”.
“Dopo la raccolta – spiega ancora – essicchiamo il riso in un impianto a gas metano che non lascia traccia di combustibile e metalli pesanti sui chicchi. Rispetto alle altre aziende, infatti, utilizziamo una temperatura più bassa e quindi impieghiamo anche più tempo”. Questo, spiegano in azienda, per evitare di dare una precottura al chicco e creare microfessure molto dannose.
“Conclusa la prima fase, il riso viene stoccato in particolari silos, arieggiati e protetti, poi viene pilato (cioè i chicchi vengono privati del pericarpo e del tegumento, trasformandosi così nel riso di consumo n.d.r.).
Anche quest’ultima fase viene curata con molta attenzione. Utilizziamo delle particolari macchine pilatrici, chiamate “Amburgo”, molto antiche. Sono tre ruote di pietra che lavorano con velocità differenti, ma sempre molto basse, per mantenere integri i chicchi e preservarne sapore e sostanze organolettiche. Solo al termine di tutto confezioniamo il riso in sacchetti”.
Il chicco del riso Carnaroli San Massimo ha un colore giallo molto intenso, è affusolato, compatto ed è adatto soprattutto per risotti e insalate grazie alla sua bassa collosità.
Bianca Senatore