In Grecia c’era la leggenda che il tartufo fosse stato generato da acqua, fuoco e fulmini di Zeus. A Roma sono testimonianza della sua fama le citazioni del celebre gastronomo Apicio, vissuto ai tempi dell’imperatore Tiberio. Nel Medioevo cadde in disgrazia come “cibo del diavolo” perché cresceva in terreni considerati insalubri ma nel Rinascimento venne rivalutato, tanto da diventare una pietanza immancabile sulle tavole aristocratiche.
Grandi estimatori del tartufo furono Gioacchino Rossini (a lui si devono i celebri “Tournedos alla Rossini”) e Camillo Benso Conte di Cavour, che lo inserì nei menu ufficiali per agevolare i rapporti diplomatici con le altre nazioni. Oggi il tartufo è ricercatissimo dagli chef internazionali.
L’Italia è famosa nel mondo anche grazie ai nostri tartufi, la cui varietà più pregiata è quello bianco d’Alba, in Piemonte, dai costi a volte iperbolici quanto il profumo. In tale scenario di cospicui interessi economici non poteva mancare il risvolto della medaglia, ovvero subdole contraffazioni e sofisticazioni.
Tra le più diffuse troviamo la “profumazione” del prezioso tubero con sostanze chimiche derivate dal petrolio. Infatti vi sono tartufi importati dall’estero – come ad esempio la Terfezia arenaria, ovvero il tartufo della sabbia che si può trovare in Spagna e nel nord Africa (ma anche in alcune zone della Sardegna e della Puglia) – che vengono sottoposti a tale procedimento. Contrariamente al tartufo bianco “originale” è quasi inodore e insapore, così come il Tuber indicum che arriva dalla Cina – dove costa pochissimo e viene dato in pasto ai suini – che possiede le stesse caratteristiche morfologiche e genetiche del pregiato tartufo nero di Norcia, ma non quelle organolettiche.
Risale alla scorsa estate una maxi indagine dei Carabinieri Forestali delle Marche che ha permesso di smascherare oltre una cinquantina di aziende coinvolte nella commercializzazione, in prevalenza on line, di tartufi “irregolari” con relative contestazioni sia amministrative che penali.
Distinguere i tartufi pregiati da quelli sofisticati non è operazione affatto semplice e in alcuni casi è necessario effettuare costosissimi esami sul DNA.
Diffidiamo dunque di prezzi allettanti e soprattutto, quando possibile, rivolgiamoci a un rivenditore di fiducia che certamente potrà dare qualche garanzia in più circa l’origine italiana del tubero.
Insomma: facciamoci inebriare dal sapore del tartufo autentico.
Daniela Mainini