Un prodotto utilizzato spesso in modo rischioso per la salute, ma che in realtà ha tantissime potenzialità.
L’espressione “Made in Italy” racchiude un universo di beni, in particolare relativi a moda, design, meccanica e cibo. Dalla fine del ‘900 tantissimi Enti e Associazioni, e ovviamente gli Organi Governativi, si battono per tutelarlo e promuoverlo.
Oggi leggiamo che Coldiretti ha rinnovato l’accordo con Philip Morris affinché la Compagnia statunitense continui ad acquistare il nostro tabacco in foglia. Da anni, la compagnia americana investe sul territorio italiano, seguendo tutta la filiera del tabacco – dal seme alla rivendita – coinvolgendo mille piccole e medie imprese agricole, prevalentemente in Campania, Umbria, Veneto e Toscana, e spingendo verso una tabacchicoltura più green. Questo accordo è il pretesto per scoprire una coltivazione storica del Paese, introdotta in Italia alla metà del XVI secolo da due prelati – uno Nunzio Apostolico in Portogallo e l’altro ambasciatore alla Corte di Francia – che portarono i semi in Toscana e Lazio e li fecero coltivare ai monaci. Si tratta di una pianta perenne che in Italia cresce solo se messa a coltura e dalle foglie della quale, essiccate, si ottiene il prodotto che tutti conosciamo. Una volta importato, molto velocemente divenne un rilevante, forse addirittura il più rilevante, mezzo di sostentamento della Penisola.
Al momento dell’Unità d’Italia, nel 1861, le entrate dovute al tabacco erano tali che il Governo sancì il monopolio di Stato sul prodotto, iniziando a controllarne coltivazione, produzione e commercio, e a realizzare, oltre ai prodotti da fumo e da fiuto, i primi antiparassitari e saponi a base di nicotina.
Solo di recente (2014), a seguito della riforma dell’Organizzazione comune di mercato nel settore del tabacco, sono stati notevolmente ridotti, in tutta Europa, i sostegni pubblici, determinando, ovunque un calo della coltivazione.
Oggi l’Italia, che è il principale produttore di tabacco nell’Unione europea con oltre 59 mila tonnellate e circa 17 mila ettari coltivati, destina le foglie della pianta non solo alla produzione di sigarette e pesticidi ma anche a quella di farmaci, cosmetici – che, grazie alle proprietà antiossidanti della pianta, combattono l’invecchiamento della pelle –, biocarburante per aerei, cellulosa per la produzione della carta, fibre tessili, coloranti naturali e oli essenziali.
Marta Pietroboni
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La qualità del tabacco dipende dal bilanciamento di una serie di componenti. Quelli che influiscono di più sulla qualità delle foglie sono i carboidrati, i composti azotati, i pigmenti, i polifenoli, gli elementi minerali, le resine e gli oli essenziali. A livello organolettico, invece, sono fondamentali il contenuto in nicotina, l’umidità, la dimensione e la forma della foglia, la combustibilità.
I tabacchi maggiormente coltivati in Italia sono il Virginia, soprattutto in Umbria e in Veneto; Burley, Paraguay e Badischer, per lo più in Campania; Kentucky, in Toscana, e in Puglia Erzegovina e Xanthi Yakà; Perustitza in Abruzzo e Havanna e Maryland nel Lazio.
(Fonte box: noisiamoagricoltura.com)