“Questa era un’azienda agricola dove si producevano grano e mais, oltre a una trentina di capi, si vendeva carne di Fassona Piemontese e avevamo un amore viscerale per questa Langa. Poi ti sposti su, in Alta Langa, dove finiscono le vigne e iniziano le nocciole; e poi i prati con le pecore e i formaggi. Ma qual è un posto più bello di questo?” Finisce così la nostra intervista con Alberto, che nel 1973 inizia la produzione vitivinicola delle Tenute Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy. Un finale che racchiude la filosofia di questa famiglia: un amore incondizionato e atavico per questi luoghi dove già in epoca romana ci si raccoglieva per adorare il dio Marte, da cui l’antica “Villa Mattia”, ora Martinenga, su cui sorge la Tenuta.
Ci troviamo nel cuore del Comune di Barbaresco, luogo di alcuni dei cru più pregiati di Nebbiolo da Barbaresco e sede di una delle proprietà dell’Azienda, insieme a Monte Aribaldo (a Treiso, in provincia di Cuneo), La Serra e Monte Colombo a Cassine, in provincia di Alessandria. Storie di vino, testimoniate dal marchese Alberto, che con trasporto e passione, ci fa entrare nel grande fascino delle sue terre…
Un nome lunghissimo e una località, Martinenga, apprezzata già dai Romani. Dove ci troviamo?
Il nome dell’azienda è il mio cognome: noi di nascita siamo Cisa Asinari di Casasco.
Le tenute sono quattro aziende agricole e questa di Barbaresco è proprio un vigneto storico. La seconda si trova qui a Treiso, dove sorge Villa Giulia, la casa che nei primi del Novecento mio nonno Carlo aveva fatto costruire per la nonna.
Qui intorno abbiamo una decina di ettari di vigneto, specialmente Dolcetto, ma anche bianchi come Chardonnay e Sauvignon. Le altre due aziende vengono proprio da nonna Giulia: la sua famiglia Pellizzari, alessandrina, possedeva a Cassine una ventina di cascinette e due sono rimaste a noi. Le ho incluse con le altre due di Langa e quindi ora le lavoriamo tutte e quattro insieme. Il vino è arrivato di conseguenza.
Come è nata la passione?
Avevo circa sei anni: amavo andare sul trattore e fare un po’ il discolo in campagna. Si andava a scuola i primi di ottobre, l’estate era molto lunga e passare il tempo qui, in questa bella casa sul bricco, era davvero una grande fortuna. Così mi sono innamorato di questi posti, finché nel ’73 io e mio fratello abbiamo deciso di iniziare. Adesso sono con noi anche due dei miei tre figli.
In Azienda anche ecosostenibilità e agricoltura biologica?
Si è previsto di dotare questa azienda di una piccola fonte di energia fotovoltaica: abbiamo dei pannelli solari che producono una cinquantina di kilowatt che per i nostri consumi è più che sufficiente. Siamo fieri di utilizzare un’agricoltura biologica. Tanti anni fa si ricorreva a molti trattamenti chimici, per sconfiggere malattie come la peronospera, tuttora presenti, ma più arginabili. Rispetto al passato, per esempio, ora applichiamo l’inerbimento: senza l’uso di diserbanti, una macchina taglia via le radici dell’erbetta appena questa si forma. Una sorta di rasatura… Cerchiamo, molto semplicemente, di farci rappresentanti di una cultura sempre più sana. Anche nel vino seguiamo le fermentazioni solo con la temperatura: refrigeriamo con le vasche e quando è il caso scaldiamo l’ambiente cantina per la prima fermentazione (quella, per intenderci, che trasforma lo zucchero in alcol) e poi si allaccia quella malolattica (tipo di fermentazione che porta il vino a maturazione, ndr) fatta per quasi tutti i vini in questo ambiente, riscaldato a 22 °C fino a Natale. Poi dopo le feste si aprono le porte e si chiude il riscaldamento, il vino così precipita per il freddo e il sedimento si deposita sul fondo delle vasche; quindi lo si travasa in legno o in inox.
Quanto tempo dedica all’Azienda?
Io seguo tutta la produzione. Mi avvalgo naturalmente di bravissimi ragazzi. Conosciamo le viti quasi per nome. Nella potatura verde, per esempio, quella in cui si tratta di buttare in terra dell’uva nel mese di agosto e prevedere la portata rispetto al carico che quella vite può sostenere, si crea davvero un dialogo vis à vis con la pianta.
Ha un suo vino del cuore?
Sarebbe come fare preferenze tra i propri figli. Più che di un vino, io sono innamorato del vigneto qui alle nostre spalle: un pezzo unico di 12 ettari nella nostra vallata di 25 ettari che nel suo genere è davvero rara, soprattutto qui in Langa. I filari disposti in maniera orizzontale seguono l’andamento della collina e danno dei riscontri diversi. Proprio per questo nel ’78, su consiglio del buon Gino Veronelli, ho iniziato a separare le uve provenienti da Camp Gros (sotto Rabajà) e notavamo che il vino era più solido, più consistente, più vino rispetto al resto. E lui ci ha consigliato di chiamare il Barbaresco in maniera diversa: sempre Martinenga, ma con l’aggiunta di Camp Gros che significa “campo grande”.
Un vino dei Marchesi per festeggiare e uno “da tutti i giorni”…
Da anniversario il Moscato, dolce ma non stucchevole. Il Barbaresco è nel mio cuore, ma anche il Nebbiolo, il suo fratellino minore, che da sempre produciamo senza invecchiamento in legno.
Il vino che in assoluto, alla fine di una giornata di lavoro, ci rende felici e regala grandi speranze per il futuro è comunque il Barbaresco Martinenga, quello che produciamo in maggiori quantità.
“Da tutti i giorni” il Dolcetto, che è comunque un grande vino.
Il vostro segreto?
Prima di tutto l’onestà, non solo professionale. L’amore talmente alto per queste vigne fa sì che il vino sia un po’ una conseguenza. È il vino che si fa trovare nei tavoli del mondo e si fa gradire per le sue qualità organolettiche; però un vino rosso è fatto al 98% in vigneto. La capacità di migliorare è dovuta al vigneto, non tanto alla cantina… Queste le nostre linee di forza.
Chiara Caprettini