La medaglia d’oro come Paese produttore, consumatore ed esportatore di foie gras trasformato (conserve, pâtés) è saldamente in mani francesi. È un prodotto antico: in Egitto, il foie gras è rappresentato persino nei geroglifici. Anche i Greci ne furono estimatori. Quanto ai Romani, la notorietà del loro “jecur ficatum”, fegato ingrassato con i fichi utilizzati per l’alimentazione di anatre e oche, si estese ovunque nei territori conquistati, consolidandosi in particolare nella Gallia transalpina, l’odierna Francia.
Parliamo in questo caso di fegato grasso prodotto in modo naturale. Ma, nel tempo, la situazione è degenerata: la richiesta di foie gras è aumentata a tal punto che, per averne di più, si è iniziato a praticare il gavage, l’ingozzamento forzato definito lesivo dall’Unione Europea, tanto da vietarlo, con deroga solo per i Paesi dove è pratica corrente (attualmente, Francia, Bulgaria e Ungheria; l’Italia può vendere ma non produrre). Anche molti stati americani lo hanno bandito.
In Francia, il foie gras ricavato da volatili allevati in Dordogna (Canard à foie gras du Périgord) ha ottenuto la certificazione IGP, ma solo nel caso in cui sia rispettata la normativa europea che stabilisce per i Paesi produttori l’obbligo di sostenere la ricerca sugli aspetti salutistici e i metodi alternativi al gavage.
Però un’alternativa c’è già: nella regione spagnola della Dehesa, dove passa un’antichissima rotta migratoria delle oche selvatiche, lavora un produttore di foie gras etico, Diego Labourdette, che si è rifatto a una tradizione secolare degli Ebrei. Qui i volatili, nel mese di novembre, hanno naturalmente il “fegato grasso”, una preziosa riserva per sostenere il lungo volo che li attende. Le oche si nutrono di erbe, fichi, olive, ma principalmente di ghiande, un alimento altamente calorico che attiva l’infiltrazione di grasso nel fegato. Dunque non serve il gavage.
Malauguratamente il costo di questa chicca da gourmet è elevato: se 100 g di un “normale” foie gras costano intorno ai 35 euro, per quello naturale si deve moltiplicare la cifra per tre. Di certo però cuore, etica e papille gustative sono tutti soddisfatti.
Oggi poi sono allo studio nuove metodiche: varie società impegnate nella cosiddetta “agricoltura cellulare” stanno producendo foie gras in laboratorio, partendo da embrioni di uova di anatra o d’oca. Insomma, grazie ai progressi della tecnologia tutti gli estimatori di questo delizioso prodotto possono dormire sonni tranquilli: presto avranno la pancia piena e i sensi di colpa “volatilizzati”.
Paola Chessa Pietroboni