IL BITTO

Se lo si menziona, ci appare nitida l’immagine, verdissima, di una splendida zona di montagna dove si producono tante eccellenze italiane: la Valtellina.

Il Bitto ha origini antichissime, legate alla popolazione dei Celti che, scacciati dalla Pianura Padana dai Romani nel III secolo a.C., iniziarono a produrre questo formaggio d’alpeggio solo durante l’estate, come avviene tutt’oggi.

 

 

 

Il più conosciuto dei formaggi valtellinesi, l’unico che può durare più di 10 anni (“bitu” significa perenne), si contraddistingue per il suo gusto dolce e aromatico, reso ancora più intenso da una lenta stagionatura. Denominato “Formaggio Grasso Valtellina” sino al 1995-1996, anno in cui ha ottenuto la denominazione DOP da parte della UE, ha un rigoroso disciplinare di produzione, secondo cui può essere impiegato latte vaccino crudo intero appena munto proveniente esclusivamente dal territorio della provincia di Sondrio e di alcuni comuni limitrofi dell’Alta Valle Brembana e della provincia di Lecco.

Oltre al Bitto DOP, esiste il Bitto Storico Ribelle – con due rispettivi consorzi di tutela – che si differenzia per un disciplinare ancor più stringente e zone di produzione più limitate.

Tale dualismo sorse dopo l’ottenimento della denominazione d’origine, quando il consorzio variò il disciplinare per ampliare la produzione e contenere i prezzi; la cosa non piacque ad alcuni produttori della Valtellina, i quali, nel 2016, registrarono il marchio “Storico Ribelle”.

Al rispetto del disciplinare sono legate le frodi che colpiscono il saporito prodotto caseario. Recentissima è la notizia di un’indagine dell’Autorità Giudiziaria, condotta con il supporto della Guardia di Finanza e degli ispettori dell’ICQRF del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, su diversi produttori valtellinesi accusati di violazione del disciplinare relativamente ai quantitativi di mangimi somministrati agli animali, mangimi carenti, a detta dell’accusa, anche degli imposti standard qualitativi.

Le indagini sono tuttora in corso e sarà compito della Magistratura valutare gli elementi raccolti dagli inquirenti. In ogni caso, ciò dimostra l’efficacia del sistema di controllo italiano sul comparto alimentare, e non possiamo che rivolgere un sentito ringraziamento alle donne e agli uomini delle istituzioni che ogni giorno vigilano sulla nostra salute.

A tutti i consumatori di Bitto, invece, l’augurio di gustarlo originale, perché, per dirla alla valtellinese, “L’è méi murì pién che campä schìsc” (È meglio morire pieni che campare di stenti).

Daniela Mainini

info@anticontraffazione.org

www.centrostudigrandemilano.org

 

 

 

 

 

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