I marchi Made in Italy nei settori agroalimentare e manifatturiero sono conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Molti di essi sono attivi da diversi anni, tanto da meritarsi l’appellativo di “marchi storici”. Denominazione da oggi non solo importante per il consueto “storytelling” ma anche perché il legislatore ha istituito il “Marchio storico di interesse nazionale”.
Le misure adottate – ispirate dai nostri cugini d’Oltralpe, la cui legislazione fornisce importanti suggerimenti su come supportare l’economia nazionale favorendo quella reale – hanno il preciso scopo di incentivare i titolari di marchi italiani a non cederli ad acquirenti esteri e di scoraggiare il fenomeno della delocalizzazione della produzione.
Secondo le nuove norme inserite nel Codice della proprietà industriale, l’uso del logo “Marchio storico di interesse nazionale”, per finalità sia commerciali che promozionali, sarà consentito ai titolari o ai licenziatari esclusivi di un marchio d’impresa registrato o utilizzato continuativamente da almeno 50 anni.
A tal fine, presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi è stato istituito il registro speciale dei marchi storici e presso il Ministero dello Sviluppo Economico il fondo per la tutela dei marchi storici di interesse nazionale, per salvaguardare i livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività produttiva sul territorio nazionale.
Norme importanti ma facoltative
L’impresa titolare o licenziataria di un marchio iscritto nel registro dei marchi storici che intenda porre fine all’attività produttiva o delocalizzare all’estero ha l’onere, pena una sanzione amministrativa fino a 50.000 euro, di comunicarlo senza ritardo al Ministero dello Sviluppo Economico, specificando i motivi della chiusura nonché le azioni intraprese per limitare gli impatti occupazionali o per trovare un acquirente, rimanendo ferma la possibilità per i dipendenti di presentare un’offerta pubblica di acquisto e ogni altra possibilità di recupero degli asset.
Lo scopo della creazione del marchio storico che il Governo ha ideato, stanziando oltre 30 milioni di euro, è quello dunque di dare stabilità e certezza alle imprese che investono su know how e immagine, rafforzando la tutela della proprietà industriale delle aziende storiche italiane virtuose affinché, attraverso la valorizzazione del Made in Italy, siano sempre più competitive nello scenario internazionale.
Non sfugge a chi scrive la facoltà, e non l’obbligatorietà, della norma, la cui applicazione concreta potrà scontare problemi di costituzionalità oltre che di conformità al diritto comunitario. Ma questa è un’altra storia.
Daniela Mainini
www.centrostudigrandemilano.org