Sono sempre molto curiosa di sapere come nascano i progetti che mi affascinano, a maggior ragione quando l’interlocutore ha i modi affabili di Massimo, capace di raccontare con estrema semplicità.
Illustratore italiano trasferito a Londra 24 anni fa, Fenati ama anche cucinare ed è stato quindi naturale per lui combinare questi due aspetti della sua vita. «L’idea di disegnare cibo – racconta – mi è venuta perché amo molto i dolci; come dicono gli inglesi, ho il dente dolce e sono un appassionato baker (fornaio, ndr).»
Appassionato ma dilettante, ci tiene a sottolinearlo, nonostante i vari corsi frequentati alla prestigiosa scuola di alta cucina Cordon Bleu di Londra: «se aprite il mio frigo, ci trovate una pasta madre di 7 anni, con la quale faccio pane e focacce, settimanalmente.» Fa una piccola pausa, prima di aggiungere: «se non facessi il fumettista, nella vita farei sicuramente il cuoco. Se mi andasse male la prima linea professionale, mi butterei sulla seconda!»
Arrivato a Londra 24 anni fa come designer, ma con già alle spalle collaborazioni come illustratore per alcune aziende alimentari italiane, Massimo ha anche realizzato con GAIL’s Bakery (una catena londinese di pasticcerie, caffè e forni) una serie di giornalini divulgativi a fumetti dedicati al mondo della panificazione e della pasticceria.
Come sono nati i foodles, le illustrazioni che tu stesso hai (così) battezzato giocando con le parole food/cibo e doodle/scarabocchio, in cui il cibo viene animato e trasfigurato dando vita a scene di vita bizzarre?
Un giorno mi è venuto abbastanza naturale provare a utilizzare Instagram. La mia mente lavora molto per immagini, così spesso vedo intorno a me cose che non esistono; quando per esempio tiro fuori un dolce dal forno, lo vedo subito come qualcosa d’altro. Ho iniziato a lavorare in modo spontaneo e ho provato a mettere queste immagini su Instagram. Pur non essendo un grande patito di social media – non ho mai curato molto i miei profili – ho ascoltato quelli che da anni mi dicevano, cioè che come illustratore avrei dovuto essere presente. Per non fare qualcosa a caso, ho pensato di mettere in piedi un progetto ad hoc per questo lavoro.
Da quando ho scoperto la tua pagina Instagram, mi domando se il cibo che diventa oggetto dei fumetti lo cucini tu.
All’inizio sì; poi, preparando spesso 3 illustrazioni a settimana, non ce l’ho più fatta e così a volte uso anche fotografie che mi mandano amici o trovo in giro. Ora il 30% è cibo mio.
È un progetto pensato solo per Instagram o immagini altri sviluppi?
Ci sto pensando. C’è un canale televisivo qui in Inghilterra, Channel 4, che mi ha proposto di usare i foodles in un programma, un foodshow in parte ricreativo e in parte educativo. Sarebbe bello mostrare attraverso le illustrazioni come funziona il cibo: perché in forno un alimento cuoce, cambia la struttura molecolare, la consistenza, il colore; perché le chiare si montano a neve; quali sono gli accorgimenti necessari nella realizzazione di alcune ricette. E poi lo sbocco più ovvio sarebbe trasformare questi fumetti in un libro e ci sto lavorando con la mia agente letteraria, ma prima aspettiamo di avere notizie dal programma televisivo.»
Di sicuro non stai facendo solo questo…
No, infatti. Sto girando l’Italia per promuovere la mia ultima fatica editoriale: la versione graphic novel (a fumetti ndr) di La Mennulara, il best-seller di Simonetta Agnello Hornby. La creazione delle pagine mi ha impegnato per più di 12 mesi. Sono stato chiuso nel mio studio, chino sulla tavola da disegno, senza contatti con l’esterno… Ora è bellissimo poter incontrare i lettori e avere un riscontro sul mio lavoro. E anche la mia pasta madre e il forno ringraziano, perché finalmente li considero di nuovo!»
A Londra ti circonda la stessa esaltazione del cibo che viviamo in Italia ultimamente?
Anche questa è una città dove il cibo regna sovrano. Da un lato, c’è una tradizione di cibo inglese, che spesso purtroppo gli italiani identificano solo con patatine fritte, birra e cibi malsani, ricca invece di specialità: dolci squisiti, fantastiche pie salate (letteralmente “pasticcio”, ndr), pesce e cacciagione. Certo, è una gastronomia ridotta rispetto ad altre e negli ultimi decenni si è persa l’abitudine di cucinare a casa. Si dice che questo sia dovuto alla seconda guerra mondiale, durante la quale gli inglesi si sarebbero adattati a mangiare patate e cibo in scatola! D’altro canto, forse proprio in ragione dell’offerta locale limitata, in una città cosmopolita come Londra, che ha una clientela in cerca di cibo di qualità, è fiorita una proposta enogastronomica internazionale variegatissima, caratterizzata dalla presenza di ogni tipo di cucina etnica, di ogni tendenza, di ogni sperimentazione…
Da un paio di anni hai l’ufficio a Soho, in pieno centro, la zona della città forse più affollata di ristoranti: mi raccontavi che ti sei imposto di andare a mangiare fuori e provare un posto nuovo una volta alla settimana…
Dopo due anni sono appena agli inizi, è un continuo fermento, ci sono ogni secondo nuove realtà. Ma è davvero un universo ricchissimo da questo punto di vista, Londra…!»
Marta Pietroboni
marta.pietroboni@cibiexpo.it