Correva l’anno 1931, il 13 maggio, quando Giuseppe Cipriani, padre di Arrigo, diede vita al bar ristorante che, negli anni, sarebbe diventato uno dei simboli di Venezia. L’insegna coniata fu “Harry’s Bar”, in omaggio al giovane americano Harry Pickering che aveva consentito a Giuseppe Cipriani, al tempo barman dell’Hotel Europa e Britannia, di aprire il suo locale. La storia è bene raccontarla:
Dunque, il giovane studente Harry era a Venezia, nello stesso hotel, con una zia che, dopo un litigio, lo aveva abbandonato, lasciandogli poco denaro, certo non sufficiente per un rientro in patria. Giuseppe Cipriani lo aiutò offrendogli 10.000 lire (una grossa somma per l’epoca) ed Harry tornò negli Stati Uniti. Dopo poco più di due anni tornò a Venezia e, dopo aver restituito a Giuseppe la somma prestata, vi aggiunse altre 30.000 lire per gratitudine ma anche affinché Cipriani aprisse un locale tutto per sé e così fu.
Il locale, un ex magazzino di cordame, posto vicinissimo a Piazza San Marco, in Calle Vallaresso 1323, dove si trova tuttora, era ideale per Giuseppe Cipriani. All’epoca, non esisteva il ponte che ne consente il collegamento con la celebre piazza e ciò piacque particolarmente a Giuseppe, perché i clienti non sarebbero stati “passanti” ma sarebbero andati all’Harry’s senza alcuna casualità.
Superfluo dire che, vista la posizione, il locale ebbe un quasi immediato successo con una nota in più: era ricercato particolarmente da una clientela di alto livello culturale e anche da aristocratici che si trovavano bene in quell’ambiente semplice, luminoso, con ottima cucina e con aperitivi che divennero leggendari. Fu allestito anche un libro per le firme degli ospiti e, tra le altre, vi sono quelle di Arturo Toscanini, Charlie Chaplin, Peggy Guggenheim, Orson Welles, Truman Capote.
Il bar ristorante rispecchiava appieno i desideri di Giuseppe Cipriani che voleva un arredamento non opprimente per la clientela e, soprattutto, luminoso. Erano tempi nei quali Venezia rappresentava la meta preferita delle grandi famiglie borghesi sia italiane sia straniere che, naturalmente, divennero clienti abituali dell’Harry’s, contribuendo alla diffusione, a macchia d’olio, della rinomanza del locale, in Europa e oltre Atlantico.
Negli ambienti che oggi si definiscono “VIP” si diceva che “se vai a Venezia e non riesci ad andare almeno una volta all’Harry’s, non sei nessuno!” Alla fine del 1949, per tutto l’inverno, il celebre scrittore Ernest Hemingway si fece riservare un tavolo personale ed esclusivo che tenne fino a quando terminò la stesura del romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi nel quale l’Harry’s Bar è citato più volte.
Il celebre “Bellini” e l’originale carpaccio
Il locale era famoso sia per la buona cucina, con ingredienti di grande qualità, sia per gli ottimi aperitivi, molti creati da Cipriani, un “must” immancabile per chi passasse da Venezia. Ma a completare la gamma degli aperitivi, giunse, nel 1948, un nuovo protagonista, il cocktail “Bellini”, formato da vino frizzante o da prosecco, armonicamente coniugato a purea di pesca bianca.
Il nome di questa bevanda, oggi famosa in tutto il mondo, era dedicato a Giovanni Bellini, celebre pittore veneziano, poiché il colore rosato del cocktail ricordava a Cipriani quello dell’abito di un santo presente in un suo dipinto. Del “Bellini” esiste anche una versione totalmente analcolica, costituita da purea di pesca bianca e acqua frizzante, adatta anche ai più piccoli.
Tra i clienti abituali dell’Harry’s vi era anche la contessa Amalia Nani Mocenigo, alla quale, a un certo punto, il medico di casa prescrisse di non mangiare carne cotta, e Cipriani creò un piatto formato da filetto di manzo, tagliato a fette sottilissime crude accompagnate da una salsa a base di maionese, che lui chiamò “universale” perché adatta ad accompagnare sia carne sia pesce. Il nome del piatto fu un omaggio ad un altro pittore veneziano, il Carpaccio, del quale si teneva una mostra in quel periodo.
La seconda generazione
Quando Giuseppe si ritirò, il locale passò sotto la guida di suo figlio Arrigo, che proseguì nella gestione con lo stesso entusiasmo e con grande capacità e anche qualche novità. Tra le altre cose, creò, infatti, una macchina speciale per la pasta all’uovo che provvede a ben 80 piegature e che, dopo ben 14 ore di essicazione, rende la pasta sottile e vellutata.
Nel 2001, l’Harry’s Bar fu dichiarato “patrimonio nazionale” dal Ministero dei Beni Culturali, per essere stato testimone della cultura del XX secolo a Venezia. In Italia, è l’unico locale pubblico ad aver ricevuto tale riconoscimento negli ultimi cento anni. Nel 2016 Arrigo Cipriani, per la storia dell’Harry’s Bar, ha ricevuto alla Camera dei deputati il Premio America della Fondazione Italia USA.
I locali Cipriani, oltre a Venezia, sono disseminati nel mondo intero, da New York a Mosca, da Dubai a Monte Carlo, da Città del Messico a Riyadh, da Miami a Hong Kong, da Ibiza ad Abu Dhabi, e prossimamente, pandemia permettendo, a Milano.
Toni Sàrcina