FILIPPO LA MANTIA, UN PALERMITANO A MILANO

Si definisce “oste-cuoco” e non ama essere chiamato “chef”.  La cosa calza a pennello per Filippo La Mantia, ristoratore palermitano di grande successo che incontro, nel suo bellissimo e grande locale su due piani, in piazza Risorgimento a Milano, zona centrale ed elegante dove Filippo si muove come in una grande casa, ben arredata e assai confortevole. Vi sono grandi spazi, in armonica sequenza di luci e colori che rispecchiano appieno la personalità del padrone di casa.

 

 

Una delle sale del ristorante Filippo La Mantia. Foto di Gianmarco Chierigato.

 

 

Al piano terra, un fornitissimo e spazioso bar-caffè, ricorda le belle sale da tè della Milano di un tempo, dove è possibile pranzare con una bella gamma di proposte. Le grandi sale da pranzo, al piano terra e a quello superiore, sono attrezzate perfettamente per i celebri buffet di Filippo, i clienti vi si muovono con scioltezza e confidenza, mostrando di essere “habitués”.  Vi sono genitori con bambini di ogni età che, si servono da soli. Chiedo a un bimbo di sette anni quale sia il suo piatto preferito e lui prontamente risponde: ” la caponata di Filippo, buonissima”.  I due piani sono legati da una scenografica scala di vetro che molti preferiscono all’ascensore. Anche noi saliamo non senza osservare un altro locale-bar dedicato ai clienti fumatori.

In entrambi i piani vi sono anche spazi dedicati al relax o all’attesa, con comodi divani e poltrone. Al piano superiore, campeggia il banco personale di Filippo, attrezzato per i numerosi suoi show cooking. Do un’occhiata furtiva a uno dei buffet e percepisco profumi e colori della vera Sicilia gastronomica.

 

Ci sediamo quindi per la nostra chiacchierata.

 

 

Quando hai sentito la prima volta il desiderio di cucinare?

Fin da ragazzo, a Palermo, influenzato dalla mia famiglia.  Avevo 12 anni e iniziavo a fare le prime cose in cucina che riscuotevano un certo successo. Mi piaceva la cucina semplice e, con il passare del tempo, pur migliorando la tecnica, sono rimasto lo stesso.

 

 

 

 

Ma, da ragazzo, dove andavi a mangiare?

Mi piaceva la cosiddetta “cucina di strada” quella del lungomare, in particolare a Mondello. Là c’era un’osteria dove andavo a prendere una specie di aperitivo composto da polpo bollito, tagliato e semplicemente spruzzato da succo di limone, uovo sodo, fave, broccoletti saltati, panelle, un grande aperitivo, per quei tempi.

 

Che ci bevevi sopra?

La mitica “spuma” poiché ero e sono astemio e la spuma mi piaceva molto e aiutava la digestione. Quei sapori li ho ripresi e li propongo in un piatto, qui a Milano per i miei buffet; i clienti lo gradiscono molto.

 

La tua cucina, è sempre stata ed è solo siciliana? Non apporti modifiche, creatività o invenzioni? Scusa, un altro quesito: l’assenza di aglio e cipolla dai tuoi piatti, era un fioretto?
Assolutamente no, ad entrambe le domande; la prima, da quando cominciai, ho sempre proposto il grande repertorio siciliano ed anche qui a Milano, dove fra poco festeggerò i cinque anni di permanenza, la clientela mostra di gradire molto quei sapori e, come vedi, il pubblico è assai numeroso; per l’aglio e la cipolla, fin da piccolo non amavo il loro sapore e non li ho mai inseriti nei piatti . I clienti, non solo li apprezzano, ma tornano spesso anche perché, diciamolo francamente, i sapori che io propongo, sono quelli della famiglia che tutti hanno avuto o che avrebbero voluto avere.

 

Ma, tu cosa ti proponi, qual è il tuo obiettivo?

Io respiro la Sicilia da tutti i pori e vorrei che tutti la respirassero come me e ciò mi stimola ad andare avanti, con lo stesso entusiasmo di quando cominciai, prima in Sicilia, poi a Roma e quindi, a Milano.

 

A proposito, come cominciasti e come apprendesti i segreti della cucina e delle sue tecniche?
Ero già a Roma e proponevo la mia cucina a piccoli gruppi, soprattutto amici, uno di loro mi disse che alcuni investitori volevano aprire un ristorante con me come cuoco. Io, spaventato, dissi di no, una cosa era cucinare per pochi e un’altra farlo per i clienti con una cucina “vera”.

 

E come andò?

Loro insistettero e quindi arrivò “Zagara”, il mio primo ristorante: Nel periodo preliminare, mi massacrai nello studiare “Il ristorante” con le tecniche di cucina, le comande con il servizio di sala, la cantina, l’attrezzatura, la stoviglieria, il vasellame, gli arredi, la biancheria, in definitiva un’immersione di 24 ore al giorno per sapere tutto; alla fine, aprimmo e fu un successo.

 

E poi?

Capii che, per migliorare dovevo pensare “in grande” e passai a strutture molto importanti. A Roma rimasi per 17 anni di successo ininterrotto, che mi portarono poi a Milano, per misurarmi con la città della quale tutti parlano, in Italia e all’estero come esempio concreto per chi desidera il successo.

 

 

Filippo La Mantia e la sua brigata. Foto di Gianmarco Chierigato.

 

E qui come sei organizzato?

Ho la fortuna di poter contare su un fantastico gruppo di collaboratori, ad ogni livello: un servizio di sala molto efficiente e, soprattutto, una grande brigata di cucina condotta da Gennaro Immobile, giovane e capacissimo cuoco, per me, il vero “chef”. Tutto funziona a meraviglia, in un’atmosfera di grande armonia, pensa che, quando mi capita di essere teso o nervoso, vado in cucina per rilassarmi, che potrei volere di più? Certo, bisogna lavorare tanto, tantissimo ma questo lavoro è quello che mi piace fare e, malgrado i “ritmi milanesi”, le soddisfazioni sono davvero tante.

 

 

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