La qualità dell’agrifood africano, tra formazione, collaborazione internazionale e ricerca. E4Impact, Fondazione che supporta l’imprenditoria africana, realtà nata nel 2010 come iniziativa dell’Alta Scuola di ricerca e formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e nel 2015 diventata Fondazione grazie al contributo di importanti aziende italiane, è oggi un’affermata organizzazione impegnata a supportare l’avvio e la crescita di nuovi business in Africa.
Lo spettro di attività che mette a sistema è ampio: progetta ed eroga MBA (Master in Business Administration, ndr) e programmi imprenditoriali; mette a disposizione – degli imprenditori africani nascenti – acceleratori e progetti di sviluppo.
Ho intervistato, per scoprire qualcosa in più, il professor Mario Molteni, CEO di E4Impact Foundation.
“Dopo alcuni anni di esperimenti e MBA per imprenditori africani organizzati e tenuti in Italia, abbiamo capito che dovevamo – per ragioni logistiche, economiche ecc. – cambiare assetto. Così siamo andati a Nairobi e abbiamo costruito il primo Master in situ, con una Università locale per nuovi imprenditori, quelli che poi abbiamo chiamato Impact Entrepreneur, cioè gli imprenditori capaci di generare un impatto positivo sul territorio. Abbiamo fatto una scelta seria: proporre il Master a chi aveva già una piccola impresa o un progetto e offrire loro anche la possibilità di essere accompagnati nel processo di crescita e sviluppo. La maggioranza delle richieste di iscrizione (il 60%) ci sono arrivate da imprenditori dell’agrifood, dal mondo dell’economia circolare o della sostenibilità. Per essere precisi, gli imprenditori che operano nel settore agroalimentare in senso stretto sono il 44%, ma considerando anche la Green Economy si arriva al 60%”.
E poi avete raggiunto altre città e nazioni africane?
Sì, è successo che tramite il passaparola, altre istituzioni, soggetti e luoghi ci hanno chiesto di replicare l’esperienza, e quando poi, nel 2015, abbiamo avuto l’occasione di incontrare Letizia Moratti, che aveva ottenuto che Milano fosse sede di EXPO, siamo diventati Fondazione. Questo ci ha dato un ulteriore impulso per crescere e poter essere oggi presenti in 20 paesi africani. Offriamo MBA, ma anche programmi di accelerazione e progetti di cooperazione allo sviluppo, perché nel tempo ci siamo resi conto che non potevamo proporre solo il nostro prodotto iniziale, ma dovevamo diversificare. Da subito abbiamo avuto anche chiaro il valore dell’opportunità di un collegamento: partire da un progetto africano esistente e costruire un nesso con le imprese italiane, favorendo la crescita di entrambe e la creazione di diverse collaborazioni tra gli imprenditori dei due Paesi. Sono lieto di vedere che i casi di successo continuano.
Quali sono le tipologie di prodotti maggiormente interessanti oggi in Africa, e quali sono invece le più significative collaborazioni attivate?
Latticini, catena dei bovini e ortofrutta, perché ricordiamo che l’agricoltura deve innanzitutto assolvere al compito di fornire il cibo per la popolazione africana ma anche prodotti come mango, caffè, miele, interessantissimi per l’export.
La nostra attività di supporto si sviluppa in ottica win-win; per questi nostri imprenditori africani trovare uno sbocco all’estero è fondamentale e a oggi ne abbiamo formati ormai oltre 12.000. Sono in primis persone affidabili, veri imprenditori, che hanno almeno 4 o 5 dipendenti – ma alcuni molti di più – e persone che di fatto possono generare sviluppo nel proprio Paese.
Ho altre due curiosità. La prima è magari banale: penso ci sia un grosso preconcetto, almeno in Europa, sulle possibilità di coltura in Africa, dovuto a condizioni climatiche di alcune aree. Può dirci qualcosa?
Allora, dati alla mano, secondo le Nazioni Unite in Africa i terreni arabili sono 226 milioni di ettari e potrebbero raggiungere i 500 milioni di ettari con opportuni interventi di miglioramento fondiario. Il territorio africano potrebbe essere in grado di fornire cibo a tutti gli africani attualmente esistenti e a quelli che verranno, senza rinunciare all’esportazione. C’è una rigogliosità tipica e unica. Poi, ci sono ovviamente anche aree desertiche in Africa, o semi desertiche, come in Kenya – dove io vado più spesso – le cosiddette ASAL. Queste “arid and semi arid land” sono però oggi suscettibili di soluzioni molto interessanti: per esempio come terreno di coltivazione di biocarburanti, pratica che permette di non sottrarre metri quadri fertili alla produzione di cibo.
La seconda invece relativa al mentoring che portate avanti. Costruite dei veri e propri incubatori d’impresa, in cui vi occupate di ricerca innovazione?
Allora, noi ci concepiamo come una piattaforma. All’interno di E4Impact abbiamo assunto delle persone con competenze tecniche, che quindi possono dare un contributo specifico, ma E4Impact fa innanzitutto da collettore e connettore. Quindi le innovazioni tecnologiche che caratterizzano tante delle nostre imprese sono il frutto della collaborazione tra imprese italiane e africane che fanno innovazione e che noi abbiamo messo in contatto, identificando i giusti interlocutori.
Marta Pietroboni