E SE IL CASEIFICIO FOSSE UNA STAMPANTE?

La sperimentazione sugli alimenti a stampa 3D si è estesa anche ai prodotti caseari: gli analoghi 3D dei formaggi potrebbero integrare l’alimentazione in condizioni  sanitarie anche critiche.

L’acceso dibattito sulla “carne sintetica” – o, più correttamente, carne coltivata – ha coinvolto sia le istituzioni che l’opinione pubblica per l’originalità del tema. Sovente, queste novità vengono indicate come curiosità gastronomiche o cibi d’élite, tralasciando molto spesso importanti aspetti sia nutrizionali che salutistici.

 

 

Da qualche tempo è comparsa un’altra innovazione tecnologica alimentare poco discussa: la costituzione di prodotti caseari, soprattutto formaggi (o, meglio, analoghi dei formaggi) prodotti con tecnica di stampa 3D. Tale tecnica si avvale di matrici complesse (dette inchiostri), costituite da nutrienti (proteine, fibre, carboidrati…) oltre che da componenti funzionali, per esempio vitamine e antiossidanti. Spesso si aggiungono ingredienti (prevalentemente naturali e spesso sostenibili) che facilitano la lavorazione di inchiostri altrimenti difficilmente stampabili. Un aspetto importante di tali materie prime risiede nella loro plasticità di trattamento in termini prettamente nutrizionali, così da poter personalizzare il prodotto finale per quanto attiene alle proprietà nutritive e di adattamento a numerose patologie.

Il formaggio è noto per il suo apporto di lipidi, proteine, calcio e fosforo; negli ultimi anni si sono quindi moltiplicati i tentativi per renderlo stampabile, sia per costituire un mediatore per la stampa di derivati sia come alimento tout court. I processi produttivi di analoghi 3D sono estremamente vari e spesso complessi: le materie prime possono spaziare dal latte scremato coagulato agli isolati proteici del siero di latte a materiale di origine vegetale, eventualmente addizionate di correttori della fluidità del prodotto, come maltitolo e idrocolloidi (carragenani e pectine). Gli analoghi 3D celano quindi un grande potenziale per lo sviluppo di nuovi alimenti personalizzabili. Ma come e perché adattare alle esigenze del consumatore gli analoghi? Perché il primo target è costituito principalmente da bambini e pazienti anziani, nonché da soggetti con la necessità di correggere gli apporti nutritivi. In particolare, gli anziani possono assumere analoghi 3D per contrastare difficoltà di masticazione, disfagia, calo della percezione gustativa e inappetenza, che si acuiscono con l’avanzare dell’età; un analogo 3D costruito su un dato paziente contribuirebbe a migliorare selettivamente la palatabilità dell’alimento. Inoltre, con opportuni accorgimenti, un analogo del formaggio può essere facilmente integrato con proteine anche differenti da quelle del latte, permettendo di arginare ad esempio il calo della massa muscolare (sarcopenia) in età avanzata. Le proteine supplementari derivano da isolati di siero, ma anche da vegetali (i piselli, in particolare, dotati di scarso potere allergenico).

Altro aspetto importante nella progettazione di analoghi 3D del formaggio riguarda l’ottenimento di prodotti a basso tenore di grassi e ridotto indice glicemico, utili in soggetti con diabete, ipercolesterolemia o dislipidemie, in continuo aumento nelle popolazioni di mezza età e anziani; i ricercatori hanno ipotizzato l’uso di grassi animali o, meglio, di oli vegetali. Anche l’uso di tè verde, guava e germogli di orzo influirebbe positivamente sull’iperglicemia cronica data la loro azione antiossidante, così come l’impiego di amidi modificati a ridotta digeribilità. La produzione di analoghi 3D del formaggio potrebbe evolversi grazie a una tecnologia di stampa introdotta nel 2013, la stampa 4D. La quarta dimensione è rappresentata dal tempo, in quanto gli alimenti stampati in 3D opportunamente processati possono trasformarsi in termini di colore, sapore, biodisponibilità di nutrienti, consistenza e persino forma quando esposti a variazioni ambientali quali cambi di temperatura, umidità, pH, stimoli chimici, stimoli batterici, microonde e campi magnetici. Tali metodiche aprono interessanti applicazioni per consentire variazioni cromatiche del cibo allertando sul deperimento del prodotto. Pertanto, nonostante la fisiologica diffidenza che questi cibi innovativi quali gli analoghi 3D dei formaggi potrebbero suscitare, varrebbe la pena osservarli sotto un’altra luce, in quanto formerebbero validi supporti per la salute, soprattutto in pazienti di determinate età e quadri patologici preoccupanti per quanto concerne l’aspetto nutrizionale. Con una corretta informazione, anche i consumatori “tradizionalisti” valuterebbero positivamente queste assolute innovazioni, senza necessariamente considerarle una minaccia per i nostri tesori alimentari (italiani o meno) che ritengo, io come tanti altri, insostituibili.

Massimo Faustini

Università degli Studi di Milano

massimo.faustini@unimi.it

https://www.unimi.it/it/ugov/person/massimo-faustini

 

 

 

 

 

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