Dolce e salato, due sapori così distanti tra loro che difficilmente ci verrebbe da pensare possano essere tenuti insieme o addirittura diventare, in moltissime ricette, indispensabili l’uno all’altro. In realtà quando assaggiamo un piatto, ossia un’unione ricercata d’ingredienti, se il gusto è gradevole significa che la mescolanza di sostanze è sta ben studiata, precisa quanto estrosa. Così, per esempio, il pizzico di sale presente in un buon pasticcino di pasta frolla, nato da un impasto di farina, burro, zucchero, uova, diviene indispensabile per esaltarne la dolcezza.
Ma per comprendere meglio il motivo per cui un piatto o una preparazione così “gustosa” nasca da ingredienti obbiettivamente distanti, come lo zucchero e il sale, è bene fare una premessa.
Il gusto: un risultato di sensazioni
Ciò che si definisce “gusto” di un alimento è il risultato che il nostro cervello ha elaborato a partire dal suo assaggio, attraverso una molteplicità incredibile di sensazioni. Queste sensazioni vengono raccolte non solo da speciali cellule presenti sulla lingua, le papille gustative, ma anche da altri recettori presenti, per esempio, in bocca sul palato e da quelli olfattivi nel naso. Proprio per questo, il gusto è una percezione molto più complessa del sapore poiché è determinato anche dal fondamentale contributo dell’olfatto e, se vogliamo essere precisi, persino dalla vista (“l’occhio vuole la sua parte”!), dalla temperatura e dalla consistenza del cibo masticato. Infatti, le cellule recettrici del cavo orale riconoscono le molecole rispondenti ai gusti di acido, salato, dolce e amaro, ai quali, dai primi anni del secolo scorso, si è aggiunto l’umami (dal giapponese “saporito”, ndr), caratteristico del glutammato di sodio (ne sono ricchi per esempio il formaggio Parmigiano, il pomodoro o la salsa di soia), mentre i recettori del nostro naso riconoscono centinaia di aromi diversi contribuendo ad associare a ciascun assaggio/cibo un gusto ben definito. È chiaro, dunque, come in realtà i sapori possano essere davvero tanti e vari.
Chi si rinforza e chi si annulla
Alcuni sapori si rafforzano tra loro, come il salato e l’acido. A basse o medie concentrazioni la loro azione si rafforza. Quando saliamo una verdura cruda, come pomodori o peperoni, e aggiungiamo dell’aceto stiamo sfruttando proprio questo meccanismo fisiologico. Ad alte concentrazioni, però, il salato e l’acido tendono a sopprimersi l’un l’altro: per esempio nei sottaceti, in cui abbiamo la verdura completamente immersa in ambiente acido. Anche il dolce e l’acido, ad alte concentrazioni, si annullano a vicenda ed è per questo che nella macedonia o in alcuni dessert a base di frutta il limone è accoppiato allo zucchero: senza l’acido citrico del limone la macedonia sarebbe troppo dolce, ma senza lo zucchero risulterebbe troppo aspra. Lo stesso fenomeno si ha nelle bevande gassate come la Coca Cola o simili, dove l’acido ortofosforico (un composto inorganico prodotto industrialmente, anche se è largamente presente in diversi frutti e verdure, ndr) maschera ben più della quantità standard di zucchero (circa 30 gr), solitamente contenuta in una lattina. Lo zucchero smorza l’acidità anche a concentrazioni più basse: infatti, quando si prepara la salsa di pomodoro, per attenuarne l’acidità si aggiunge un po’ di zucchero.
L’unione perfetta
Il sale, a basse concentrazioni, intensifica il dolce ed è per questo motivo che spessissimo, nella preparazione di torte o biscotti e dolci in generale, si aggiunge un pizzico di sale. Invece il dolce e l’amaro, ad alte concentrazioni, si annullano l’un l’altro, come sperimentiamo ogni mattina bevendo il caffè zuccherato. Sicuramente l’effetto più sorprendente sull’amaro è quello del sale, come dimostrato dall’acqua tonica che contiene chinino, una sostanza particolarmente amara: aggiungendo via via sempre più sale, il suo sapore tende a scomparire fino addirittura a far diventare la bevanda gradualmente più dolce. Dunque, il dolce e l’amaro si annullano a vicenda. Così non ci sorprenderà più sapere che la senape viene preparata a partire da semi di senape e acqua, aceto di mele e olio extravergine, ma anche da zucchero di canna e da un pizzico di sale; che molti piatti di carne risultano prelibati perché cucinati all’agrodolce, ossia con salse ottenute dalla caramellizzazione degli zuccheri, contenuti nella frutta o nel miele, con gli acidi dell’aceto in emulsione con l’olio; oppure che l’ingrediente principale della besciamella, completamento di ricette salate, è il latte ricco di zuccheri come il lattosio; o infine che è la ricotta, un formaggio, a riempire i golosi cannoli siciliani.
Esaltatori artificiali e naturali
Dovremmo in ogni caso prestare molta attenzione alle etichette dei cibi confezionati: le industrie, infatti, sfruttano perfettamente i meccanismi fisiologici del “gusto”, aggiungendo, come esaltatori del sapore, sostanze spesso artificiali, ma che evocano proprio i nostri cinque gusti. Così saccarina, aspartame, acesulfame e i meno conosciuti ciclamato e sucralosio sono tutti dolcificanti artificiali, usati per edulcorare sia le bevande, sia alcuni alimenti dolci e salati; sorbitolo, xilitolo, mannitolo, isomalto, maltitolo sono altri zuccheri, ma naturali, derivati dal glucosio, spesso utilizzati allo scopo. Stessa cosa vale per ricreare nei cibi il gusto del salato con l’uso di additivi chiamati “esaltatori di sapidità” che vanno dall’acido glutammico E600 fino all’E699 così come da classificazione dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare). Insomma, forse la lezione da imparare è quella di allenare i nostri palati a riconoscere i gusti veri e naturali, affinché ci aiutino a scegliere e a puntare sulla qualità dei nostri cibi; saper apprezzare la qualità aiuta ad alimentarsi bene e a vivere in salute.
Cecilia Pedroni
Biologa Nutrizionista
Studio Nutrizione Palaziett (palaziett@gmail.com)