CENTESIMINO

La settima puntata di questa rubrica si ferma in Emilia-Romagna. Vi raccontiamo il Centesimino.

 

 

 

Questa è una storia recente, rispetto a quelle raccontate fino a oggi. Infatti, è solo dall’epoca post-fillosserica (cioè da dopo il 1850 circa, quando in Europa si diffuse la fillossera, un parassita devastante, ndr) che abbiamo notizia di questo vitigno.

Per conoscerlo in tutti i particolari, ci ha fatto da Cicerone Rita “l’energia” (così la definiscono in famiglia) dell’Azienda Agricola Ancarani di Oriolo dei Fichi, nel comune di Faenza, in provincia di Ravenna.

 

Raccontiamone la storia.

Il Centesimino è stato salvato inconsapevolmente dalla fillossera da un signore che viveva a Faenza, tale Pietro Pianori, che lo usava come pergola decorativa all’interno del suo cortile. Siamo in Corso Matteotti n. 10, in pieno centro città.

 

Che precisione!

La precisione è dovuta al fatto che la mia mamma stava al numero 6 della stessa strada, pertanto vicinissimo. Questo signore aveva dei terreni di proprietà nella zona di Oriolo dei Fichi, e negli anni Cinquanta decise di mettere a dimora un po’ di marze di vigne presenti nei suoi fondi, tra cui, evidentemente, quella che oggi conosciamo come Centesimino.

Tuttavia, su questo vitigno ci fu molta confusione: venne chiamato Savignon Rosso (ma senza avere nulla a che fare con il Sauvignon Rosso) e ritenuto di origine spagnola. Solo l’esame del DNA svolto agli inizi del Duemila ha messo un punto fermo sulla questione: si trattava di un vitigno non ancora censito.

 

Era necessario trovargli un nome.

Ci si ricordò che Pietro Pianori, l’uomo che in qualche modo aveva salvato questo vitigno, era un grossista alimentare con la caratteristica risaputa di essere tirchio; per questo, in dialetto, veniva chiamato Centesimino.

 

Iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite solo dal 2004.

Dalla procedura per l’iscrizione al Registro otteniamo l’IGT, l’indicazione geografica tipica, e da quest’anno 2023 su vendemmia 2022 abbiamo la DOC (Denominazione di Origine Controllata) per la zona di Oriolo dei Fichi.

I produttori del Centesimino a oggi sono pochissimi: solo 6 o 7 per un totale di 20 ettari dentro a Oriolo dei Fichi; possiamo aggiungerne 2 o 3 se andiamo oltre la provincia di Ravenna.

 

Pochi ettari, pochi produttori, poco spazio. C’è un rischio di omologazione del vino?

Identità, identità, identità! È la parola d’ordine per il Centesimino di Oriolo dei Fichi, ma non solo per il terroir. Devo dire che i vini prodotti in questa zona sono tutti diversi tra loro; in ognuno è possibile percepire la diversa mano di chi lo produce.

 

Perché parlare di “identità”?

Oriolo dei Fichi, a differenza di altri luoghi, ha diverse caratteristiche che rendono il Centesimino particolarmente riconoscibile. Abbiamo una connotazione geologica peculiare: 8 chilometri di sabbie pleistoceniche, un’insenatura che ha fatto da spiaggia ai dinosauri; una sabbia estremamente ricca di ferro, calcare e fossili. Per questa pianta, molto rustica, è diventata la dimora ideale.

 

Una combinazione fortunata quindi.

Si, ma non solo. La buona sorte del Centesimino è stata quella di incontrare il gusto delle persone fin dalle prime vinificazioni, quando ancora si vendeva sfuso. Ma il merito va anche alle caratteristiche del vitigno. È una pianta resistente alle malattie come botrite, oidio, peronospora. Ha un’uva a bacca piccola ma dalla buccia spessa che la protegge. Non molto produttiva, su cui oggi insiste il grande problema della siccità, che incide tanto sulla quantità che sulla qualità. L’alto tenore zuccherino tipico del Centesimino e la riduzione dell’acqua nell’acino, dovuta appunto alla siccità, portano con sé diversi problemi tra cui: l’indebolimento dei lieviti e il rischio dell’opulenza gusto-olfattiva; quindi, è arduo trovare il giusto equilibrio di piacevolezza.

 

Veniamo a voi.

Da parte nostra cerchiamo di non intervenire sul vino. Ovvero, facciamo quanta più prevenzione possibile in vigna, e in cantina proviamo a osservare soltanto. Il nostro obiettivo è legare il prodotto al territorio e all’annata. Raccontandolo da capo ogni volta.

 

Il vino.

Sono possibili molte vinificazioni differenti. Come dicevamo prima, ognuno ha la sua mano. Nel nostro caso, procediamo con fermentazione spontanea sulle bucce e con lieviti indigeni per 20 giorni, a cui segue una pressatura soffice. Matura per 3 mesi sulla feccia fine (per fecce fini si intendono tutti i sedimenti che si formano alla fine della fermentazione alcolica, ndr) e prosegue l’affinamento in vasche di cemento per altri 10 mesi. Seguono 3 mesi in bottiglia prima della commercializzazione. Per il resto, che dire… va assaggiato!

 

Da parte nostra, alla conclusione di questa settima tappa, permetteteci di essere davvero contenti di avervi raccontato un’altra chicca della nostra magnifica biodiversità vitivinicola italiana, qualcosa che esiste in solo 20 ettari di terreno in tutto il mondo.

Elisa Alciati

elisa.alciati@cibiexpo.it

 

 

 

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