Boero con la e aperta e boero buono da mangiare: cosa c’entra uno con l’altro?
Boèro, dall’olandese boer [buːr], sì insomma “buur” con due “u”, è il termine che designa l’appartenente a una popolazione d’origine europea costituitasi nell’Africa meridionale, per lo più in Sudafrica e in parte minore in Namibia, tra il XVII e il XVIII secolo. Fondò ben 17 Repubbliche. Coloni per lo più olandesi e di religione calvinista (quelli che se lavori e diventi ricco sei predestinato al paradiso e altrimenti, beh, peggio per te), tristemente noti per le sanguinose lotte con i nativi, cui hanno sottratto le terre, indistinguibili per stile dai pionieri del Far West. Sul serio, cercate qualche foto storica su Google. Ma i nostri pacifici contadini subiranno la stessa sorte per mano degli inglesi durante l’800, quando il buon cuore dei britannici decise di liberare dalla tirannia boera tutti i giacimenti di diamanti scoperti attorno agli anni ’60 di quel secolo, estraendo le gemme dalle miniere e inserendo i boeri nei campi di concentramento: sì, andavano già di moda e no, non sono un’invenzione nazista. Gli stessi territori diventeranno ancora più tristemente noti per l’istituzione del regime di separazione razziale noto come apartheid. Come si dice: chi ben comincia… Ma, a questo punto, sorge spontanea una domanda: che accidenti c’entrano i cioccolatini alla ciliegia?
Benvenuti nell’ennesima nebulosissima storia di un cibo-alimento-ricetta che trova poco se non nessuno spazio nei libri di storia a documentarne nascita, morte e miracoli. La risposta alla nostra domanda è: bella domanda! Ma andiamo con ordine.
Come avrete imparato ad aspettarvi da questa rubrica, non è per nulla facile stabilire quando e dove sia comparso per la prima volta il boero. Perlomeno se non vogliamo accontentarci della versione di Witor’s, l’azienda cremonese del cioccolato, che ci dice di averlo inventato nel 1962. Il problema è che la Ferrero il Mon Chéri lo aveva introdotto già 6 anni prima, nel 1956. Per cui Witor’s magari avrà registrato il nome “boero”, ma la cronologia ci suggerisce, un po’ in imbarazzo, che di certo non può aver inventato il concetto di cioccolatino con cuore di ciliegia. In più, il nome “boero” già veniva utilizzato. Ha però inventato il famoso “gioco” che rese il dolcetto, con la carta rossa e il suo espositore ad alberello, famoso in tutta Italia: lo “strappa e vinci un boero”, il meccanismo per cui, scartato il cioccolatino, in base alla scritta riportata nell’involucro interno si vincono uno o più esemplari oltre a quello acquistato. Puro genio del marketing, bisogna dargliene atto: sommare alla ricompensa dopaminica del cioccolato (la dopamina è appunto, nel nostro cervello, il neurotrasmettitore associato alla ricompensa; l’assunzione di cioccolato ne aumenta la quantità in corpo di una volta e mezza)… dicevo: l’idea di sommare la ricompensa dopaminica del cioccolato a quella del “gioco d’azzardo” è stato un vero e proprio colpo da maestro.
Ma scomponiamo il nostro amato cioccolatino in fattori primi; otterremo: cioccolato, ciliegia e liquore. La ciliegia dovrebbe essere intera e il liquore di visciola o kirsch, o maraschino, o cherry brandy. Tutto purché alla ciliegia. Ecco, dove è nata questa idea?
Possiamo già escludere, a dispetto del nome, che abbia un’origine sudafricana o olandese; lì, quella roba non la fanno.
I boeri, però, attualmente sono una specialità piemontese, nello specifico del cuneese, e infatti sono numerose le aziende locali che ne producono, dove le ciliegie vengono private del picciolo, ma non del nocciolo (attenti ai denti), e messe a ubriacarsi nella grappa per alcuni mesi, prima di essere utilizzate come ripieno dei cioccolatini, di cui ci sono tre varianti: fondente, al latte o al cioccolato bianco.
Qui però casca l’asino, perché in Piemonte il boero si chiama preferito. Tuttavia, poco importa, perché a noi ormai interessa rintracciare l’origine della ricetta, del gusto, più che del nome. Ed ecco che qualcuno vocifera sia stato inventato durante i primi del Novecento da un pasticcere svizzero-francese, Emil Gerbeaud. Emil nasce nel Cantone di Ginevra, si trasferisce a Budapest dove apre la sua pasticceria, il Café Gerbeaud (tuttora esistente). Pare sia il responsabile di numerosi dolci tipici ungheresi, come il macskanyelv (non serve che tentiate di pronunciarlo, ci ho rinunciato anch’io), che letteralmente significa “lingua di gatto” (no, non ha nulla a che vedere con i nostri biscotti, ma sono anche in questo caso dei cioccolatini), e il konyakos meggy, termini che si riferiscono a un liquore dolce ma anche, udite udite, a un cioccolatino dal ripieno di ciliegia marinata al cognac. Come dall’Ungheria siano finiti per diventare una specialità piemontese e chiamarsi “boeri” resta però un mistero. Altre voci suggeriscono che sia l’involucro rosso il responsabile, ispirato alle giacche dei soldati boeri. Solo che l’assenza di fonti e il fatto che non erano i boeri, ma gli inglesi, ad avere la divisa rossa scoraggia questa versione. Nel dubbio, chiederemo a quelli di Witor’s se ne sanno qualcosa.
Riccardo Vedovato
riccardo.vedovato1994@gmail.com