BITTO, FORMAGGIO AD ALTA QUOTA

Ci portiamo avanti… Si produce in estate negli alpeggi della provincia di Sondrio e in alcuni comuni dell’Alta Val Brembana. Ma per assaggiare il Bitto di nuova produzione bisogna aspettare ottobre, quando il periodo minimo di stagionatura è ormai trascorso. Le sue origini vengono fatte risalire addirittura ai Celti: quando i Romani li allontanarono dalla pianura Padana, essi popolarono la Valtellina, un territorio montuoso e difficile da sfruttare, ma allo stesso tempo rifugio sicuro e ricco di pascoli. Produrre un formaggio come il Bitto, che poteva essere conservato per anni, significava assicurarsi un’eccellente scorta alimentare. Testimonianza di un mondo rurale che in queste valli sopravvive ancora oggi, il Bitto viene prodotto nelle malghe seguendo metodi di lavorazione tradizionali.

 

 

 

E con gli attrezzi di una volta: la culdèra (caldaia di rame a campana rovesciata dove si riscalda il latte), la fasèra (una fascia di legno circolare per dare forma al prodotto), la mela (il tipico coltello a serramanico ricurvo). “Ogni Bitto è diverso dall’altro” ci spiega Eugenio Motta, che gestisce un’azienda agricola nella Valle del Bitto (il torrente da cui il formaggio prende nome). “Molto dipende dall’erba e dai fiori che gli animali mangiano in alpeggio: arrivano da lì gli aromi che si sentono nel formaggio. Ogni estate portiamo a 2000 metri 50 mucche da latte e 30-40 capre: sono proprio queste ultime a indicarci dove c’è l’erba buona. Non mangiano mica tutto, le capre”. I fattori che determinano il sapore del Bitto, tuttavia, sono tanti: le condizioni meteo, lo stato di forma degli animali e l’abilità del casaro, che può decidere di variare la temperatura di riscaldamento del latte o la quantità di caglio da aggiungere. Una vera e propria arte che richiede sensibilità e pazienza: il processo di lavorazione del Bitto è molto lento, “ma nelle 3 ore e mezza che passano dalla mungitura alla produzione del formaggio non buttiamo via niente” racconta Eugenio. “Con il latte facciamo il Bitto. Con il siero che rimane nella caldaia facciamo la maschèrpa, una ricotta che di solito si lascia stagionare e si mangia grattugiata. Con il secondo siero, la scòcia, diamo da bere ai vitelli. Hanno diritto anche loro a un contentino…”

 

Bitto per tutti i gusti

 

Aromi di fiori ed erbe di montagna in un formaggio che mette d’accordo grandi e bambini.

Prodotto con latte vaccino intero e un’aggiunta di latte di capra, ha un sapore dolce e ricco di aromi: sentori di frutta secca, nocciola, noce, burro, fieno e fiori secchi. È un formaggio grasso a pasta cotta e semidura: molto nutriente e calorico, è però dotato di un alto potere saziante che aiuta a limitarne le porzioni.
C’è chi lo considera un “formaggio da meditazione”: per gustarlo al meglio occorre infatti portarlo a temperatura ambiente e masticarlo lentamente, per non perderne le sfumature di sapore. Abbinandolo magari a un pregiato Sfursat, un vino passito valtellinese. Il disciplinare di produzione prevede un minimo di 70 giorni di stagionatura affinché il Consorzio di Tutela possa marchiare le forme, che acquistano così la dicitura Bitto DOP. Ma questo formaggio può superare i 10 anni di stagionatura: con il procedere della maturazione il gusto si fa sempre più intenso e i sentori d’erba e di latte appena munto, tipici del formaggio giovane, lasciano spazio a un sapore più piccante e deciso. Un formaggio che, per la sua grande variabilità, piace a grandi e piccoli: se i bambini preferiscono il Bit- to “giovane”, più dolce e delicato, i palati più allenati di solito tifano per il Bitto stagionato.

 

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