BELLA DENTRO

bella dentro

Basta sprechi! Un’impresa avviata a Milano nel gennaio 2018 aiuta a non giudicare la bontà di un cibo dall’aspetto.

 

Apparentemente è un negozio di quartiere di frutta e verdura particolare, con alcuni prodotti trasformati. Di fatto, Bella Dentro è un progetto molto più ampio, guidato dal desiderio di combattere lo spreco alimentare, aiutare la filiera ortofrutticola, offrire al consumatore prodotti freschi, buoni e a prezzi giusti.

I genitori di Bella Dentro sono Camilla e Luca, che nel 2017 hanno deciso di licenziarsi dai rispettivi lavori e di buttarsi in quest’avventura. Hanno studiato la campagna, la filiera e le diverse realtà che le danno forma, per 7 mesi, con l’obiettivo di quantificare lo spreco di ogni “tappa” del processo produttivo. Spreco che hanno scoperto imponente soprattutto nella fase della raccolta. “Nei periodi migliori, il 15-20% degli ortaggi raccolti non soddisfano gli standard della grande distribuzione”, inizia a raccontarci Camilla. “Sono troppo grandi, o troppo piccoli, o troppo irregolari, o hanno difetti di colorazione, cicatrici sulla buccia… È ovviamente un grande peccato, perché sono prodotti buonissimi, al massimo della loro freschezza, e questo scarto produce un danno economico enorme per i produttori”.

 

Che cosa fate quindi voi?

Niente di rivoluzionario: facciamo esattamente quello che fa la filiera tradizionale, ma utilizzando solo i prodotti con difetti estetici, ma belli dentro, che nessuno vuole. Compriamo dalle mele del Trentino alle arance di Sicilia. Quando i prodotti arrivano a Milano, prendono due strade diverse a seconda delle loro caratteristiche e proprietà: negozio per essere venduti freschi e sfusi, o laboratorio di trasformazione per essere lavorati. Il laboratorio di trasformazione è il nostro modo per aumentare la vita e il valore dei prodotti; ci permette di acquistare di più dai vari produttori e dare un contributo maggiore alla filiera.

 

Insomma, veramente sostenibili?

Siamo responsabili, più che sostenibili, parola che non ci piace. Vogliamo ridurre gli sprechi, garantire un giusto prezzo d’acquisto ai produttori – che quando vendono alla GDO devono invece adeguarsi a quotazioni settimanali, borse merce – limitare l’inquinamento dovuto ai trasporti – per questo facciamo viaggiare i nostri prodotti solo a pieno carico – e aiutare l’inserimento lavorativo di persone fragili. Per esempio, il laboratorio di trasformazione alimentare lo abbiamo messo in piedi con una cooperativa sociale, L’Officina, che si occupa di formazione e impiego di persone affette da autismo e altri tipi di fragilità.

Produciamo confetture, succhi, e quindi tutti i trasformati classici, e poi una linea di frutta disidratata. Quello che ci preme sottolineare è che non trasformiamo per risolvere il problema dell’invenduto: tutto quello che resta viene donato, ogni sabato. Abbiamo una rete di Associazioni con la quale collaboriamo, da Recup a Rob de Matt, al social market del Leoncavallo, che recuperano il nostro invenduto e lo consegnano a chi ha bisogno.

 

Passa tutto attraverso le Associazioni o fate anche voi dei pacchi regalo o altro?

Tutto attraverso le Associazioni. Direttamente non riusciamo. Quello che facciamo noi, infrasettimanalmente – se sappiamo che qualche prodotto fino al sabato non durerà – sono le cassette del “salvami”, cassette multiprodotto in cui tutto è venduto a 1 euro al kg.

 

I produttori da cui vi approvvigionate come li avete scelti? Sono fissi, cambiano?

Noi funzioniamo al contrario: cioè, non ordiniamo al produttore ma è il produttore che ci chiama e ci chiede se raccogliere, e mandarci o meno, prodotti che sa non idonei per la GDO. L’unica scelta che facciamo è una sorta di rotazione tra fornitori dello stesso prodotto, in modo da essere un po’ di aiuto a tutti.

 

E vendete sia biologico che tradizionale?

Non facciamo discriminazione tra i prodotti (biologico, non biologico); il nostro criterio di scelta dei produttori è la legalità. Una serie di certificazioni attesta la buona condotta delle aziende agricole, e su queste ci basiamo per decidere con chi collaborare. Abbiamo quindi prodotti biologici e non, e ovviamente è un’informazione che diamo a chi compra.

 

I prezzi invece?

La nostra sfida è sempre stata mantenere un prezzo conveniente anche per il consumatore. Siamo abituati al fatto che progetti con un valore etico siano “esclusivi”. La nostra regola è stare in media il 20% sotto il prezzo di listino del supermercato, e saremo più alti di questo solo se il prezzo citato non permette di riconoscere il giusto compenso all’agricoltore.

Sui prodotti molto di moda, un esempio il kiwi giallo, al supermercato dai 7 ai 12 euro al kg, noi riusciamo ad avere prezzi bassissimi (2.5 euro al kg); non seguiamo la tendenza. Ovviamente, viceversa non facciamo mai prezzi promo.

 

È un modello replicabile?

Stiamo per aprire il secondo negozio; quello che riteniamo importante è che abbia le caratteristiche di un servizio di quartiere, che mantenga il contatto con le persone: i nostri prodotti è importante vederli, bisogna essere consapevole di che cosa si sta comprando.

Marta Pietroboni

marta.pietroboni@cibiexpo.it

 

 

 

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